La Guardia di Finanza di Palermo sequestra aziende e beni riconducibili all’imprenditore Francesco Paolo Alamia

Il patrimonio viene stimato nell’ordine dei 15 milioni di euro

PALERMO, 24 giugno – Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, presieduta da Giacomo Montalbano, su proposta del Procuratore Aggiunto Bernardo Petralia e del Sostituto Procuratore Daniela Varone, d’intesa con il Procuratore Capo Francesco Lo Voi, sta portando a termine il sequestro di oltre 100 immobili e terreni, 3 imprese, 21 rapporti finanziari, con disponibilità liquide pari a circa 900 mila euro, e 5 autovetture, per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro.

L’attività scaturisce da una proposta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali formulata dal G.I.C.O. nei confronti del noto costruttore e immobiliarista Francesco Paolo Alamia, 72enne, originario di Villabate, ritenuto socialmente pericoloso alla luce del particolare ruolo svolto in passato di imprenditore agli ordini della criminalità, pur non essendo stato mai condannato per associazione di stampo mafioso.

Infatti, Alamia era considerato negli anni ’70 ed ’80, socio e prestanome di Vito Ciancimino, nonché vicino ad uno dei più spietati killer di “cosa nostra”, Pino Greco di Ciaculli, detto “Scarpuzzedda”. In quegli anni, è stato azionista di controllo e rappresentante legale della storica “INIM - Internazionale Immobiliare S.p.A.”, costituita a Palermo nel 1976 e poi trasferita a Milano, allora considerata “il terzo gruppo italiano in campo immobiliare”. Tale società si è occupata dell’acquisto di grandi aziende fallite (e dei relativi pregiati terreni, resi edificabili) in Lombardia, Piemonte e Lazio, allo scopo di preordinare grandi operazioni di speculazione immobiliare ad alto tasso d’utile.

Nei primi anni ’80, Alamia è stato indicato dagli indagati e/o coimputati Filippo Alberto Rapisarda, Rocco Remo Morgano, Gioacchino Pennino e Tullio Cannella come soggetto che, pur non essendo formalmente affiliato a Cosa Nostra, era uno degli imprenditori di riferimento dei mafiosi Provenzano, Riina e Ciancimino.

A seguito delle dichiarazioni rese negli anni ’90 dal figlio di quest’ultimo, Massimo Ciancimino, Alamia è stato indagato per il reato di associazione mafiosa, nell’ambito di un procedimento in cui è stato rinviato a giudizio, e successivamente condannato, Marcello Dell’Utri. In tale ambito, le indagini hanno dimostrato come egli abbia finanziato un’iniziativa di Rapisarda e che tale operazione è stata condotta con la mediazione di Dell’Utri.

In anni più recenti rilevano, nei confronti di Francesco Paolo Alamia, le dichiarazioni rese, nuovamente, da Massimo Ciancimino e da Francesco Campanella, raccolte nell’ambito delle indagini relative alla scomparsa dell’imprenditore Antonio Maiorana e di suo figlio, avvenuta nell’agosto del 2007.