Pasta con i ceci

"Amuri è amuri, unn'è broru ri ciciri"

Comincio subito con il richiamo, rivisitato e corretto, dell'espressione siciliana sui ceci che, nelle varie forme locali, esprime un concetto semplice: amare non è sufficiente all’amore.

Amuri è broru ri ciciri è quindi un’espressione alquanto scorretta, è uno sdire, cioè lo si dice per dire esattamente il contrario, proprio perchè un semplice piatto di minestra, per quanto a volte anche riscaldata, non basta.

I ceci, sono chiamati in ballo anche da altre espressioni popolari: “Iu ricu ciciri... e tu rispunni favi”,  usata quando, durante un dialogo, non ci si comprendende; "Oji rici ciciri e dumani rici favi”, per ndicare chi da un giorno all'altro cambia atteggiamento o opinione ed ancora “Caminari 'ncapu i ciciri” oppure “Mi lassasti addinucchiuna supra i ciciri”. Due modi di dire che indicano un momento particolarmente difficile, qualcosa di scomodo, qualcosa di non gradito.
Ma, torniano in cucina...
La pasta e ceci è un primo piatto unico, nutriente, tradizionale e perfetto per sopravvivere ai primi freddi. Questa preparazione può essere servita anche come piatto unico e in mille varianti diverse: con pomodoro o senza, con molto brodo o maccosa e – recentemente – anche in abbinamento a cozze e vongole.

Il cece, Cicer Arietinum, è uno dei legumi più diffusi al mondo e dalle origini antiche. Occupa il terzo posto nel consumo mondiale di legumi dopo fagioli e soia e sono il frutto contenuto nel baccello della pianta, di forma irregolare e di colore crema. In genere vengono utilizzati, dopo esser stati lessati in acqua lievemente salata e aromatizzata, con alloro, rosmarino, sedano o salvia e come alimento base per molte ricette tradizionali italiane, come le panelle, la farinata e piatti di derivazione medio-orientale. Si possono utilizzare anche in insalata, da soli o abbinati ad altri ortaggi o legumi, per preparare ottime zuppe o in accompagnamento alla pasta.

I ceci, come detto hanno origini molto antiche. Nell'antica Grecia i ceci erano abitualmente consumati e fra i primi autori greci che citarono il cece si ricordano il poeta e filosofo Senofane, poeta greco del VI secolo avanti Cristo, considerato il fondatore della logica e iniziatore della scuola eleatica, che racconta dell'abitudine di consumare i ceci come dolci. A Roma la notorietà del cece era tale da dedicargli il cognomen di una delle famiglie più note. Cicerone, infatti, discendeva da un suo antenato che aveva una verruca a forma di cece sul naso, da noi appunto conosciuto con il cognomen Cicerone, appellativo con cui l'antenato di Marco Tullio era distinto, a causa di alcune escrescenze sul viso che sembravano ceci (in latino "cicer"). Il nome specifico arietinum si riferisce invece alla somiglianza che hanno i semi con il profilo della testa di un ariete.

Durante l'epoca di Carlo Magno era d'obbligo coltivare i ceci in ogni possedimento imperiale è la veneranda età del cece trova traccia anche anche in Orazio, nelle satire ( VI, I libro ) " ...inde domum me ad porri et ciceris refero laganique cantinum ". Per via della vetusta età, quindi risalire alla esatta collocazione geografica e territoriale dei ceci non è cosa semplice anche se alcune varianti sull'uso e consumo di questo legume conferiscono a questo una spiccata sicilianità.

I ceci tostati sono la "cosa" più siciliana che si possa immaginare. Per secoli sono stati l’accompagnamento sfizioso di matrimoni, ricorrenze e feste patronali. Se gli americani hanno i popcorn,infatti,  i siculi hanno la calia. La farina di ceci è poi alla base delle panelle, preparazione isolana per eccellenza che rientra tra gli alimenti “street food” più famosi ed apprezzati al mondo. Come non bisogna dimenticare la leggenda del famoso shibboleth dei Vespri Siciliani. Si racconta, ad esempio, a mo' di aneddoto, che, proprio durante la ribellione dei Vespri, gli abitanti dell'isola abbiano ucciso gli occupanti francesi che, interpellati, non sapevano pronunciare correttamente la parola siciliana "Ciciri" (Ceci).

Ciuciuliando ciuciuliando...oggi proponiamo quindi un piatto a base di ceci della tradizione contadina, molto nutriente e gustoso, ideale per portare in tavola in un’unica soluzione, i carboidrati dei cereali e le proteine dei legumi. La pasta con i ceci – “Pasta chi ciciri” - è un piatto che si è imposto sulle nostre tavole per la semplicità e l'economicità degli ingredienti.
Anticamente, la pasta con i ceci - e con i legumi in genere - era la pietanza dei contadini e dei braccianti che non avevano a disposizione altro se non i prodotti del loro orto. Preparata con amore e pazienza dalle donne di casa per ristorare gli uomini dalla fatica e dal freddo di intere giornate trascorse in campagna, 'a pasta chi ciciri” era il perfetto connubio tra l'economia familiare e l'apporto energetico indispensabile alla pratica di lavori pesanti.
Al giorno d'oggi, invece, elemento determinante per gustare questo prelibato primo piatto è il tempo, inteso come la quantità di ore che occorrono per la sua preparazione. La cottura dei ceci, infatti, deve essere preceduta da una fase detta "ammuoddu", periodo di tempo necessario (circa 8 ore) a farli rinvenire in acqua, a temperatura ambiente.

La sicilianità della pasta chi ciciri la ritroviamo soprattutto nella scelta di alcuni ingredienti.
Ogni famiglia mette in campo una ricetta personalizzata. Molti, e questo nonostante l'intrinseco valore proteico dei ceci, come accade anche con altri primi piatti a base di legumi, aggiungono ulteriori alimenti assai energetici come 'i cutini” (le cotiche del maiale o cotenne) oppure pezzi di lardo o pancetta , altri si limitano ad aromatizzarla usando “finucchieddi ri muntagna” (finocchi selvatici), e qualcuno azzarda (a mio avviso, in modo ottimale) anche l'aggiunta di cozze o vongole scoppiate in padella, con uno spicchio d'aglio e del peperoncino macinato.

Anche la consistenza del piatto è di "Cosa Nostra". Sulle nostre tavole, persiste infatti un'apparente coincidentia oppositorum: per quanto trattasi comunque di minestra, cosa che comporterebbe di gustarla leggermente brodosa, moltissimi sono i siciliani che la preferiscono, invece, in versione "maccusa" (piuttosto densa). La tradizione sicula vuole ancora che - così come i cugini fagioli - anche i ceci si uniscano in matrimonio "ca' minuzzagghia ri' pasta mmiscata " (residui di pasta corta mescolati insieme), oppure siano cotti in abbinamento a spaghetti tagliati o ancora agli "attuppateddi" (ditali, lisci o rigati). Sicilianamente indispensabile è pure che sia consumata "ca' cucchiara", non privando così gli altri commensali del "piacere" di un pranzo sonoro (non ce ne voglia Monsignor Della Casa)!

Per concludere un indovinello: "C’haju un nasiddu e du’ naticheddi, cu’ sugnu?".

 

Ingredienti per sei persone: 500 grammi di ceci secchi, una grossa carota, sedano (accia), una cipolla bianca, 2 spicchi d'aglio, 250 grammi di pomodoro fresco o pelato, 350 grammi di ditali rigati, sale e pepe, 1 rametto di rosmarino fresco, una fogliolina di salvia ed una di alloro, olio e extra vergine d'oliva, acqua q.b.

Preparazione

Lasciate i ceci in acqua a temperatura ambiente per circa 8 ore. Sciacquateli e teneteli da parte. Tritate carota, sedano, cipolla, aggiungete olio extra vergine d'oliva e fate stufare a fiamma bassa in una pentola piuttosto larga, preferibilmente di terracotta. Appena il soffritto avrà raggiunto una colorazione dorata, aggiungete gli spicchi d'aglio in camicia, i ceci, la polpa di pomodoro, il rametto di rosmarino, la salvia e l'alloro. Coprite il tutto con acqua a temperatura ambiente e lasciate in cottura per più di un'ora, a fiamma bassa. Aggiustate di sale. Prendete due mestoli di ceci e frullateli (a parte) con un mixer da cucina, così da rendere vellutato il brodo di cottura.

A questo punto portate a bollore, eliminate il rametto di rosmarino, la salvia , l'alloro e gli spicchi d'aglio e versate la pasta cruda. A metà cottura aggiungete la purea di ceci ed eventualmente, ma soltanto per ottenere la densità preferita, qualche cucchiaio d'acqua bollente. Quando la pasta avrà raggiunto la cottura ottimale, spegnete la fiamma, spolverate di pepe nero e irrorate con un filo di olio.

Lasciate riposare qualche minuto prima di servire.

Buon appetito... con calore!