Pani schittu e...fantasia

"Il lusso è il pane di coloro che vivono di briciole"

Buono come il pane... A nessuno si nega un pezzo di pane... Pane amore e fantasia... L'educazione è il pane dell'anima...La speranza è il pane dei poveri...Non è pane per i tuoi denti...Per un pezzo di pane...Mettere a pane e acqua...Dire pane al pane, vino al vino...Levarsi il pane di bocca...Mancia pane a tradimento...Pani e vinu rinforza lu schinu... Pani schittu cala rittu... Mancia pani a tradimentu... U Signuri runa u pani a cu unn avi i renti...Pani tumazzu e libertà.

E si potrebbe andare avanti così scovando i detti più strani ed evocativi fra le popolazioni di mezzo mondo.

Il pane, per la sua importanza, ha lasciato una traccia indelebile nel corso dei secoli perché è stato sempre al centro della vita e degli interessi in tutte le ere arrivando ai nostri giorni come se non fossero trascorsi millenni ma poche ore, giusto il tempo di una "lievitazione".

Perché? Perché è "Buono come il pane" e non è mai mancato sulle nostre tavole. Ha sfamato generazioni nelle guerre e nelle carestie e allietato le nostre mense. Proprio per la rilevanza che ha rivestito nel passato, il pane ci ha lasciato innumerevoli documentazioni, trattati e manuali che oltre a provarne l'importanza per le popolazioni ne descrivono i vari metodi di produzione e l'evoluzione nel corso dei secoli.

La storia del pane è scritta ed il torto più grande che possiamo fare al "cibo per eccellenza" sarebbe strappargli l'anima smarrendone il ricordo del gusto, degli odori, dei gesti e dei luoghi. Conosciamo la fragranza del pane appena sfornato dal panettiere sotto casa, ma non abbiamo più la memoria dei sapori e del profumo del pane fatto in casa, quello che manteneva l'aroma anche per sette giorni, quello che una volta la settimana, nelle dimore, diventava il centro dell'attenzione e che impegnava grandi e piccoli nella preparazione.

Per aprire uno spiraglio tra noi e i ricordi legati al pane dobbiamo fare un nostalgico sforzo che tocca il cuore. La tazza con il cruscenti sopra il comò intrisa d'olio e protetta da una foglia di fico, la preparazione della livatina alla sera e la cura nel coprirla al riparo dal freddo, l'odore ed il candore delle lenzuola intrise di farina che servivano da letto per le pagnotte che lievitavano, all'impasto nella maidda e all'acqua fumante che si versava sulla farina e al vapore che saliva intriso di fragranza di frumento e di campagna, al fuoco che divorava la legna dentro il forno e alle scorze di mandorla che avvampavano riempiendo d'aroma tutta la vanedda, al suono dei pugni che con forza penetravano l'impasto, al sapore acido della pasta che i piccoli staccavano dalla madia per mangiarla, al vociare tutto intorno: "...com'è di sali?... Sùsimi i manichi... e va pripara 'u liettu chi cuperti... Va talìa 'u furnu e dimmi comu è di cielu...".

Si diventava tutti un po' artisti con le sculture sgangherate fatte di pasta che s'infornavano per essere gustate calde calde. Il profumo delle pagnotte bollenti spolverate dalle mani d'amianto delle nonne, il miscuglio di odori di pasta, di legna e di fumo, all'olio che colava fra le dita e al sapore intenso di sale e origano. I profumi non si dimenticano mai e spesso riaffiorano lasciandoci una piacevole sensazione di nostalgia e una voglia di rivivere quei momenti.

La mia nonna paterna, non aveva un forno in casa! Lo aveva avuto, ma la modernità le regalò quello elettrico, così ogni settimana andava a preparare il pane dalla signora Pina. La signora Pina, una vicina di casa, il forno l'aveva nel classico catojo. Un posto che per me era un labirinto tutto da scoprire. In questo locale si entrava attraverso la porta d'ingresso dell'abitazione e per una serie di porte e corridoi bui, nicchie, stipi vecchi, setacci, sedie sgangherate e odore di muffa e legna accatastata, si arrivava finalmente nella stanza più in fondo.

Mia nonna arrivava con le tavole dove erano allineate le pagnotte lievitate pronte da infornare. Il forno era pronto quando il "cielo" era bianco e il suolo ben temperato e ben pulito. I mattoni della volta del forno dovevano apparire biancastri, questo indicava che la temperatura era perfetta, la base, invece, ripulita dalla cenere, veniva portata a temperatura con una scopa fatta di foglie di palma nana, inzuppata d'acqua. Si prendeva la pagnotta e la si adagiava sulla pala di legno, un colpo secco e in pochi secondi l'infornata era compiuta. Si chiudeva la bocca del forno con un po' di brace dietro la portella, dalla parte interna, il segno della croce e in venti o trenta minuti le vastedde diventavano d'oro.

Finita l'infornata il forno, con il calore residuo, aveva la forza di prestarsi ad altre sorprese: pan di Spagna e biscotti a base di farina di Maiorca, uova e zucchero. E con un ultimo slancio, riusciva ancora a tostare le mandorle e quando, infine, quasi tutto il calore era ormai esaurito, dentro si lasciavano dormire le fascine e la legna per l'infornata della settimana dopo. 

"...La prossima settimana allargheremo la porta del catojo ..." ! Si allargò la porta, si buttò giù il forno per fare posto all'automobile nuova e il pane più buono del mondo fu solo un ricordo.

Con il pane industriale ci siamo un po' tutti appiattiti e uniformati ma per fortuna, specialmente a Monreale, il pane è ancora il re delle favole e continua ad essere molto apprezzato e gradito, sia nella forma a "filone" che a "vastedda". E' impensabile mangiare qualcosa senza accompagnarla con questa bontà, tant'è vero che i condimenti vengono chiamati companatico (che si aggiunge al pane) ed ancora oggi è abitudine di molte mamme rassicurare i commensali affermando: "il pane c'e".

Il pane, neanche a dirlo, ovviamente si mangia fresco (anzi direi caldo). Davanti ai forni, infatti, proprio all'ora del pranzo o della cena, capannelli di persone aspettano pazientemente che il pane venga sfornato perché se il quartino ha già qualche ora, non va bene : "vulemu u pani friscu". Il pane caldo da far bruciare le mani è una irresistibile tentazione. Certo,di contro, il rischio che il quantitativo di pane acquistato arrivi a casa dimezzato è alto,  ma resistere allo sbocconcellamento lungo il tragitto, come testimoniano filoni privi di cozzitello (estremità), vasteddi sminzati e lingue ustionate, è impossibile.

Beh...è chiaro quindi il perché del detto "E' un pezzu ri pani" per definire una persona buona, tanto quanto non necessitano di eccessive spiegazioni i detti "mancia pani a trarimentu" e "abbagnaricci u pani".

 

Sarà per questo che il moderno mulino, la gallina e…Banderas funzionano? Fornaio incluso, infatti, tali bucoliche rievocano una sensazione di estasi. È la terapia del pane. Una magia, una faccenda mistica, un’alchimia che contiene tutti gli elementi: terra, acqua, aria, fuoco..oltre il collante che li abbraccia e li comprende:l’amore.

Il pane...che prfumo! Una bontà che si trova a tutte le ore del giorno, anche la domenica quando la maggior parte dei forni sono chiusi. Nessun problema, infatti! Ad ogni angolo di strada, da Monreale a Palermo, furgoncini bianchi o automobili con tanto di bagagliaio aperto, mostrano in bellavista quantitativi infiniti di filoni. Venditori itineranti di un pane assai ricercato, così come l'oroginale e rudimentale insegna, piuttosto esplicita: Pani friscu cavuru, ri Murriali .