Fabio Billetta - amministrative 2024

Fettuccine con macco di fave e ricotta fresca

"Quannu li scorci caminanu, li favi su' chini"

Il risultato è un piatto di pasta cremosa, profumata e gustosissima che vi ripagherà del tempo impiegato a sbucciare le fave per ben due volte: munnati a du' voti.

Per gustare al meglio questa preparazione, infatti, le fave andranno private sia, come è ovvio, del baccello sia della buccia che riveste ogni singola fava.

Il macco di fave è un piatto tipico della cucina siciliana, si tratta di una crema di fave molto semplice da preparare, ottima da gustare con la pasta ma anche con dei crostini di pane ed il piatto in questione era uno di quei piatti piatto considerati una primizia primaverile. Poi, con l'avvento delle conserve in scatola e con l'affermarsi dei prodotti surgelati o congelati, è diventato una bontà da consumarsi in qualsiasi giorno dell'anno.


Un piatto povero della cultura contadina anche se molto nutriente che può essere insaporito con vari altri ingredienti, come ad esempio bietole (giritieddi), borragine (vurrani) o finocchietto selvatico. Recentemente tale prelibatezza è servita anche con impasto di salsiccia, dadini di pancetta, cozze appena saltate in padella, ricci di mare e crostacei: De gustibus, o, per dirla in siciliano, "Mancia e vivi a gustu to', causa e vesti a gustu d'avutru".

Personalmente però, ed è questa la ragione che mi ha indotto alla scrittura della ricetta odierna, lo sposalizio ideale per le fave, fresche o secche che siano, che meglio interpreta anche l'origine del piatto è "ru fili ri pasta cu maccu e ricotta frisca a tignitè". Un connubio che a tavola, sono certa, trasfonderà in molti anche una sorta di pace interiore.


Per le sue caratteristiche botaniche e per le sue proprietà alimentari la fava, nel tempo, ha evocato numerosi simbolismi, spesso fra loro contrastanti. Presso i Greci ed i Romani, le fave non godevano di buona fama: si pensava che nei loro semi si nascondessero le anime dei defunti. Altre credenze attribuivano proprietà afrodisiache e, secondo Aristofane, nella commedia le "Rane", il macco di fave era il cibo destinato ad Eracle. In passato le fave secche erano il nutrimento tipico di molte persone appartenenti a classi non agiate e, per questo, venivano chiamate la carne dei poveri. Ciò, comunque, a ben ragione; questi legumi, infatti, sono ricchissimi di sostanze nutritive benefiche per la nostra alimentazione quali proteine, fibre, vitamine e sali minerali importanti.
Il nome Maccu deriva dal tardo latino maccare, che vuol dire schiacciare, ridurre in poltiglia e si ricollega a Maccus, personaggio delle farse popolari romane (Fabulae Atellanae), progenitore di Pulcinella. Il personaggio Maccus, anticipava, sotto certi punti di vista, il ruolo dei servi sciocchi del settecento: mangiatori ingordi e sempre insoddisfatti che, contrariamente a coloro che la fame non la pativano, si rimpinzavano di alimenti considerati grossolani.


Lu riccu è riccu pi diri abbonè, lu scarsu è scarsu pi diri chissu nenti è. Anche per questo, tale preparazione è considerata il simbolo della scorpacciata del popolano, del povero che non può permettersi altro.


La parola "maccu", si presta anche a qualche modo di dire: "cogghiri l'ogghiu supra 'u maccu" , che si usa in riferimento a chi è terribilmente spilorcio, al punto di risparmiare anche il centesimo; ed ancora "panza cuntenti cori clementi, panza dijuna nenti pirduna" , che letteralmente si traduce in "Pancia contenta cuore clemente, pancia digiuna niente perdona". Ancora, a proposito del "Quannu i scorci caminanu, i favi sunnu chini", è un'espressione usata prevalentemente per avvalorare la diffusione di talune maldicenze, insomma ciò che i latini sintetizzavano con "Vox populi vox Dei".


La coltivazione delle fave avviene nella stagione fredda, tra gennaio e marzo, e la raccolta avviene solitamente tra aprile e maggio e la primavera, lo sappiamo tutti, è anche il periodo migliore per gustare la ricotta ed i cipollotti (finalmente non di serra).
Rallegratevi, quindi, e cogliete l'attimo...lu tempu è ventu e ogni lassata è pirduta!

 

Ingredienti per 4 persone: 300 g di pasta (lunga o corta, a scelta), 250 g di ricotta fresca di pecora, 1 kg di fave fresche, 2 cipollotti freschi, 1 spicchio di aglio, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, un po' di pecorino grattugiato, pepe nero, macinato al momento, e sale q.b.

 

Preparazione

Per quanto riguarda il formato della pasta, avete ampia possibilità di scelta: conchiglie grandi e rigate, ma vanno benissimo anche le pipe, i tortiglioni, i fusilli corti o lunghi, le penne, le mezze maniche, le fettuccine e le tagliatelle (di nonna Pina!).
Sgusciate le fave e privatele della buccia. Tritate i cipollotti assieme allo spicchio di aglio e metteteli a soffriggere per un minutino circa, a fuoco lento, in un tegame con l'olio.
Appena avranno raggiunto un tenero color dorato aggiungete le fave. Salate, pepate e fatele cuocere coperte ,a fuoco molto basso, per venti minuti aggiungendo un pò acqua dopo i primi cinque minuti di cottura. Controllate di tanto in tanto che non si asciughino ed eventualmente aggiungete altra poca acqua. Schiacciate energicamente in modo da ottenere una consistenza piuttosto maccosa e versate in una zuppiera assai capiente.
Lessate la pasta ed a cottura al dente versatela nella zuppiera, unendo qualche cucchiaio di acqua di cottura.
Aggiungete il pecorino grattugiato, mescolate per amalgamare. Unite la ricotta, spolverando sopra il pepe nero macinato al momento e servite calda.