La terapia dell’Everest e delle "quote impossibili" nelle "Antinomie" di Salvino Caputo

Dopo “Cielo Siciliano” e “Questa Solitudine” ha visto la luce il terzo singolo dell’artista monrealese

MONREALE, 24 maggio - Salvino Caputo è tornato sulle scene, con una cadenza di cinque o sei mesi che ormai sembra essere un appuntamento fisso, con il suo pop rock da stadio e con il suo estro da cantautore nostrano.

Dopo gli azzeccati singoli “Cielo Siciliano” e “Questa Solitudine”, l’artista monrealese torna a far parlare di sé con un nuovo, scintillante pezzo, intitolato “Antinomie”. La direzione presa dal pezzo nella sua maturazione artistica è piuttosto chiara e di facile interpretazione. Si tratta di un tentativo di sperimentazione, a suo modo. Il titolo è più che azzeccato: la canzone poggia infatti su un sottile gioco di contrasti che nel non definire nessun senso di unità, dà, paradossalmente, il senso al pezzo. Tanto per cominciare è un mini-studio sugli arrangiamenti (per questo ringraziamo Maurizio Curcio), che laddove nei primi due pezzi dipingevano, con le loro entrate in scena perfettamente organizzate, crescendo emotivi nella tipica maniera “liberatrice” che sempre più si sta confermando il marchio di fabbrica di Salvino, questa volta mutano più subdolamente, in un gioco di apparizioni e sparizioni di cui è difficile definire i confini, o addirittura alle volte in maniera più brusca, con un impeto che è una piacevole sorpresa dato il superamento di quella che sembrava essere la zona di comfort dell’artista.

In secondo luogo, la canzone cerca un clima, un tipo di pathos particolare normalmente estraneo alla sua musica, ma qui sufficientemente azzeccato. Il cantato amelodico, l’atmosfera cupa e un po’ claustrofobica, l’uso più depresso e sentito della strumentazione: non c’è dubbio, Antinomie è fortemente permeata da un’atmosfera simil-noir, che odora anche un poco di sigarette consumate e sentimenti repressi messi a nudo. Sarà il video in bianco e nero, sarà il fatto che stavolta Salvino ha optato per non avere cantanti femminili nel pezzo, ma di cantarlo da solo, sfruttando al massimo la sua intimità, o sarà semplicemente l’insieme della scelta di usare le timbriche “buie” dei vari strumenti: in Antinomie si respira aria di dramma personale. Manca persino il ritornello. La canzone comincia con percussioni tribali spianate e accarezzata da note basse di violini sinistri e synth profetici. Il cantato sembra inizialmente provenire dal classico repertorio di cantautorato di Salvino, ma più si procede e più le inflessioni della sua voce, qua usata dando davvero poco spazio alla melodia, sembrano cercare un impeto “da strada”, anche nel tono e nel registro lessicale in cui la narrazione si svolge (“Sbattimi pure al muro, respira questa mia volgarità / Sono deluso per l’andazzo del mondo / Trascinami sul divano, fammi toccare il fondo”).

Nel frattempo, il tappeto di percussioni si disperde progressivamente, sempre più sovrastato dal muro di sintetizzatori che danno, via via, respiro al cantato. Dopo la prima strofa, sfonda la porta una chitarra elettrica, sguaiata e depressa, che contrappunta il crescendo della voce. Nonostante la progressione sembri più quella di una recitazione che di un canto “standard”, al culmine del crescendo la voce si libra in acuti da stadio a squarciagola. Non è una contraddizione, molto più semplicemente è un’antinomia. Il finale, invece, si butta a faccia avanti nelle atmosfere noir, lasciando crollare l’intera impalcatura del pezzo in un pianismo notturno e confidenziale, sul quale Salvino distende una recitazione straniante, che si colloca a metà fra un tono colloquiale e un po’ distaccato e il lessico marcatamente altisonante. Nel momento in cui tutto ciò si sgretola, esplode l’urlo finale: un muro di suono di linee di synth e vocalizzi liberatori che assumono un tono eroico, come un impeto finale di resistenza contro l’oppressione del mondo. Umanamente, Antinomie è una riflessione sulla coppia contemporanea, una dedica molto autobiografica e sentita che Salvino fa alla situazione dell’amore nel 2018, in cui propone di “riossigenare il cervello, il cuore, i comportamenti, per uscire dalla routine della nostra vita puttana”, come una terapia dell’Everest, come lui stesso la definisce, delle “quote impossibili”, un sincero e profondo impegno per restaurare la comunicazione di coppia, e “salvare il salvabile”.

Personalmente, mi sento di piazzare questo pezzo considerevolmente sopra sia “Cielo Siciliano”, che “Questa Solitudine”, in quanto Salvino sta pian piano dimostrando di essere capace di ben più di quello a cui ci ha abituati, intuizioni interessanti che potrebbero risultare davvero memorabili se ancor meglio sviluppate, e soprattutto una vera anima da cantautore capace di adattare la struttura e il clima del pezzo al suo messaggio, cosa che risultava più difficile nell’aria di speranza di Questa Solitudine e nella morbidezza lounge di Cielo Siciliano. Contenti di questo nuovo intrigante traguardo, per il momento ci limitiamo a sperare che questa ispirazione bruci ancora abbastanza per portarci almeno un album, che è ragionevole presupporre sia in preparazione dopo ben tre singoli, e nel frattempo ci godiamo queste “Antinomie”.