Il sogno di Ibrahim Gaye ''Ibra'' del Gambia stroncato dalla leucemia

Il giovane era arrivato su un barcone a Lampedusa nel 2016

In questi giorni del coronavirus la nostra mente e i nostri interessi sembrano fluttuare tra notizie e stati d’animo convulsi. Storie del nostro tempo, direbbe qualcuno, tra tensioni e diffidenze in balia di un’atmosfera inaudita e surreale. Come la storia del giovane Ibrahim Gaye del Gambia arrivato a Lampedusa nel 2016, il cui sogno, si è infranto lo scorso giovedì, stroncato da una terribile malattia.

Il soprannome richiama il noto campione Zlatan Ibrahimovic ed evoca quel mondo straricco di personaggi, ai quali sembra non manchi nulla, a cominciare dalla gloria e dal denaro. L’altisonante campione del calcio il suo sogno lo ha realizzato; anche l’Ibra venuto dal Gambia all’età di quindici anni, aveva un sogno da realizzare, e cioè quello di diventare un campione del calcio.
Storie di ordinaria cronaca, di un ragazzo come tanti, il cui desiderio è quello di riscattarsi da una vita di stenti e di sacrifici, di fughe verso luoghi di libertà e di speranze, storie che meritano di essere raccontate e volare sulle ali dell’immaginazione.
Avremmo voluto raccontare una storia diversa, in questo modo, attraverso i suoi pensieri e i suoi sogni, nel modo più bello e giocoso.

Ibrahim Gaye è un ragazzo gambiano, venuto quattro anni fa in Italia con la sua famiglia in cerca di lavoro per una vita migliore.
I suoi genitori scelsero Palermo per vivere e nonostante la lontananza la città sembrò subito adatta al loro modo di vivere, molto simile per alcuni aspetti quali le voci rumorose dei venditori ambulanti, i colori e il modo di gesticolare che gli facevano ricordare tanto il vocio dei mercanti del suo paese. I genitori si diedero subito da fare nella vendita di cappellini e oggetti vari, girando tra turisti intenti a osservare le bellezze di questa meravigliosa città e il ragazzo li aiutava volentieri.
Lavorava tanto e quando incontrava altri ragazzi del posto che giocavano a pallone per le strade lasciava il padre e si sedeva per terra guardandoli con molta curiosità.
Come erano lontani i giorni in cui spensierato e felice giocava sui terreni polverosi della sua amata terra con i suoi amici, e ora ancora ragazzo doveva trascorrere le giornate tra lavoro e faccende di casa, senza un attimo di riposo.
Gli capitava spesso di lasciarsi trasportare dai ricordi e dalla malinconia finché il padre con il suo richiamo lo riportava alla realtà e alla fatica.
Ibra aveva un fisico longilineo e sapeva giocare bene a calcio, correva così velocemente che i suoi compagni di Gambia facevano fatica ad andarci dietro.Un giorno mentre guardava i ragazzi giocare fu invitato a unirsi per una partita, Ibra accettò subito l’invito e si fece notare per la sua velocità e per il tocco di palla.

I ragazzi si mostrarono contenti di aver trovato un bravo giocatore e facevano a gara per averlo nella loro squadra.
Sognava di diventare un campione e di riportare la sua famiglia nel proprio paese.
Prima di addormentarsi, la sua mente si popolava di grandi campioni che esultanti reggevano una coppa e si abbracciavano felici per la vittoria.
Durante una partita vi fu uno scontro molto duro, il piede di Ibra colpì involontariamente il tallone di Nino, che fece una smorfia di dolore e rialzatosi gridò in maniera brusca nei suoi confronti, egli mortificato si scusò e andò via.
Per alcuni giorni di Ibra non si seppe nulla, l’idea che Nino si fosse fatto male per colpa sua lo faceva sentire in imbarazzo verso gli altri. Pensava all’amico Antonio e al modo di rimediare. Anche Nino ricordando quei momenti si rese conto di aver esagerato gridando in quel modo brusco decidendo di andare in cerca di Ibra per riportarlo tra gli amici e giocare a pallone.
La mattina seguente Nino con la palla in mano bussò alla sua porta e lo invitò a giocare, appena fuori dalla porta i due si strinsero la mano e come se nulla fosse successo giocarono tutta la mattina.
Passava da quella strada un giovane allenatore che soffermandosi a guardare si accorse della bravura e della velocità del ragazzo chiedendo chi fossero i suoi genitori.
L’allenatore pregò il padre affinché si recasse con il figlio al campo di calcio per un provino. Il padre dopo le insistenze dell’allenatore e dello stesso figlio si lasciò convincere e lo accompagnò.
Il ragazzo fece vedere subito di che cosa era capace, calciò il pallone con tanta forza e precisione che il portiere non riuscì a prenderlo insaccandosi alla sua sinistra.
Ibra non immaginava che quel goal gli avrebbe cambiato la vita per sempre; divenne un campione e conservò l’umiltà e la semplicità di un ragazzo, non scordandosi mai dei suoi amici. Un campione in campo e un ragazzo altruista nella vita.
Grazie al suo talento, al suo impegno e per aver creduto in un sogno di gloria e di riscatto riuscì a riportare la sua famiglia nel suo paese d’origine.
Avremmo voluto viverlo così questo sogno e vederlo realizzato nelle sue gambe e nel sorriso di “Ibra”.