San Cipirello, il Tar del Lazio conferma lo scioglimento del Comune

Per i giudici “sistematiche violazioni e irregolarità nella gestione delle attività comunali”

ROMA, 10 giugno – Il Tar del Lazio ha confermato oggi lo scioglimento del Comune di San Cipirello per infiltrazioni mafiose. Ci sono voluti quasi due anni per mettere la parola fine ad una vicenda cominciata il 19 giugno del 2019 con la delibera del Consiglio dei Ministri. Prima c’era stato l’accesso ispettivo voluto dall’allora prefetto di Palermo Antonella De Miro.

Per i giudici romani “gli atti prefettizi costituivano un quadro indiziario più che sufficiente”. Nella sentenza del Tar si parla infatti di “sistematiche violazioni e irregolarità nella gestione delle attività comunali”, “un diffuso clima di illegalità e la compromissione della struttura burocratica e politica dell’ente”. Viene respinto dunque il ricorso presentato dall’ex sindaco Vincenzo Geluso insieme a Giovanni Randazzo, Nicolò Di Lorenzo, Claudio Russo, Maria Grazia Lo Piccolo, Piera Rizzuto, Giuseppe Clesi e Vincenzo Randazzo. Che sono stati condannati al pagamento di 3 mila euro di spese in favore del Ministero dell’Interno.
Ad assisterli in questi due anni sono stati gli avvocati Girolamo Rubino, Rosario De Marco Capizzi e Massimiliano Valenza. Una delle migliori equipe legali siciliane nel settore amministrativo.
Per i giudici: “In campagna elettorale soggetti vicini alla mafia sostennero il sindaco”
Ma per i giudici delle prima sezione romana, presieduta da Antonino Savo Amodio, “di assoluta significatività è la circostanza che in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2017 alcuni esponenti della locale organizzazione criminale abbiano manifestato interesse verso la candidatura del sindaco, come dimostrato dagli atti raccolti in fase istruttoria e riguardanti episodi puntualmente descritti. Tra cui quelli verificatisi durante un comizio elettorale e nel corso dello scrutinio dei voti durante la tornata elettorale. Viene anche accertato il sostegno al sindaco, attraverso piattaforme social, da parte di alcuni soggetti vicini alle locali consorterie mafiose. Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, gli episodi riportati non sono privi di significato né giustificabili in virtù della normale “dialettica” tipica della fase pre-elettorale nei piccoli centri cittadini. Essi, invece - scrivono i giudici -, danno conto, specie se letti unitariamente, della esistenza di un quadro indiziario più che significativo della vicinanza delle consorterie criminali agli organi di vertice del Comune”.
Gestione rifiuti, cimitero e frequentazioni
In particolare la sentenza cita “le irregolarità riscontrate nella gestione del servizio rifiuti, effettuata attraverso l’espletamento di procedure negoziate frammentate e di proroghe in assenza dei presupposti di legge a favore di due imprese, in rapporti di vicinanza a soggetti contigui alle locali organizzazioni criminali; le vicende relative alla gestione del cimitero comunale, ove sono stati svolti lavori ad opera di una ditta il cui titolare era in rapporti di amicizia con il sindaco e aveva frequentazioni con esponenti delle consorterie mafiose; l’affidamento del servizio di manutenzione dell’impianto di pubblica illuminazione, tramite continue proroghe e in violazione del principio di rotazione, in favore di una ditta con frequentazioni con soggetti controindicati; la vicenda relativa alla presenza del sindaco e di altri amministratori comunali all’inaugurazione di un’attività commerciale presso un capannone abusivamente realizzato, di proprietà di una persona riconducibile ad una locale famiglia mafiosa”.

 (fonte: vallejatonews.it)