La pasta con le sarde

"cu' è liccu, s'ardi"

Il profumo e il sapore del mare, l'aroma inconfondibile e deciso del finocchietto selvatico, la dolcezza dell'uvetta sultanina, la croccantezza dei pinoli, il colore del nostro sole e l'aroma unico dello zafferano...signori e signori "a pasta chi saiddi"! Sulla scia della festività appena trascorsa, per quanti non hanno potuto festeggiare San Giuseppe, in onore alla cucina di magro tipica del periodo quaresimale, per augurare a tutti  una serena Domenica delle Palme, questo è il piatto ideale, e per tante ragioni.

Un primo piatto che racchiude sapori e odori della nostra terra ed una volta gustata, "stranizzi r'amuri",  rimane nel cuore; che, metaforicamente, richiama la complessità della vita tanto quanto il suo indiscutibile splendore. Da Omero a Boccaccio, da Leonardo a Kant, da Tolstoj a Neruda, Calvino... piaceri e dispiaceri, incontri e scontri  che nel convivio ("cum vivere", vivere insieme), ed in particolare in alcune preparazioni culinarie, rappresentano l'immagine speculare della società.  

"Ogni lassata è pirduta?" Einstein avrebbe risposto: relativamente! Spesso, per qualcuno, praticare le giuste priorità si trasforma in ardue imprese...il più delle volte, invece, se si mantiene saldo il collegamento tra l'istintualità  e cervello, si comprendono perfettamente le cose per cui vale la pena vivere e che danno senso a tutto! Contrariamente al detto, "non è l'occasione che fa l'uomo ladro, ma l'uomo che fa l'occasione". Mettiamo, dunque, da parte il resto, che è solo “contorno”, e concentriamoci sul primo...

“A pasta chi saiddi” (pasta con le sarde), uno dei piatti palermitani più originali, che unisce elementi molto diversi tra loro, ma il cui accostamento è delizioso e rappresenta perfettamente l’armonia tra agro e dolce, tipico della cucina siciliana di origine araba. L'origine del piatto è leggendaria: la sua paternità viene attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio che sbarcato in Sicilia alla conquista dell'isola si trovò a dovere sfamare le sue truppe in condizioni precarie. Il cuoco aguzzò l'ingegno mettendo insieme quello che la natura dei luoghi gli offriva e cioè il pesce azzurro dei nostri mari, la frutta secca (uva sultanina e i pinoli), il gusto particolare del finocchietto selvatico e l’aroma e il colore giallo intenso di una spezia tanto preziosa che è lo zafferano.

Leggenda a parte, riteniamo che il piatto alla sua origine non fosse così come  lo apprezziamo, ma appare verosimile che sia il frutto di progressivi perfezionamenti attraverso i secoli. È probabile anche che l'uso di aromatizzare il pesce con il finochietto selvatico risalga ai Greci o ai Romani: si pensi tra l'altro come i Romani facessero largo uso di pesce per ricavarne il 'liquamen' ed il 'garum' con le quali salse condivano persino i dolci. Certamente l'uso arabo vi aggiunse l'uva passa, i pinoli e lo zafferano.

È una pasta che nasce tra le mura di una città che guarda il mare, che si trasforma seguendo le varie esigenze e regna indisturbata perché estremamente versatile nel poter essere gustata calda, tiepida o fredda, o rimaneggiata al forno... qualora ne resti.  E se mancano le sarde fresche, ovvero i denari per comprare pesce e altro cibo, che si fa? Il Palermitano, si adopera per far comunque bella figura...ed il piatto assume immediatamente altre connotazioni:pasta c'anciova, perché si usano le acciughe al posto di sarde e finocchietto; pasta chi sardi a mari quando le sarde non compaiono proprio, restano a mare, e il finocchietto selvatico è l’unico protagonista.

Altro elemento essenziale di questo piatto è ovviamente la pasta, nel formato previsto, cioè il bucatino, perchè “nuddi si pigghia ca' 'un s'assumigghia”. Il bucatino, infatti, è un formato di pasta lunga la cui caratteristica è quella di avere un buco centrale ed uno spessore abbastanza consistente...consistente, appunto, tanto quanto il condimento che, in questa preparazione, lo abbraccia.

Un suggerimento: "badate bene al quantitativo di pasta che calerete", perchè “calari ru fila ri pasta” non richiede particolare cura ma, in considerazione del fatto che in “due fili” del palermitano, due non sono. Preparate quindi l'unità di misura adeguata per gustarla: 'u lemmu, una zuppiera molto capiente...perchè "anche la quantità non va mai sottovalutata!". La pasta con le sarde, inoltre, è un piatto talmente popolare da conquistare anche un'imprimatur nel linguaggio calcistico. Quando si intuisce che, disonorando lo sport, ci siano "partite concordate” si dice infatti “pasta chi saiddi”, per significare il sospetto che il risultato di una partita sia stato concordato a priori.

Del piatto esistono varianti cromatiche, "rossa", se alla “conza”  si  aggiungere il concentrato di pomodoro; "bianca", nel caso in cui la si preferisca con un pizzico di zafferano, e di ingredienti: c’e chi al posto della cipolla utilizza lo scalogno, chi sfuma il soffritto con il vino, chi ne termina la cottura al forno...

Insomma, “gira, vota e furria” la qualità che, così come nella vita, porta al successo e che continua a contraddistinguerci è la scelta adoperata per il reperimento di  materie prime degne ed adeguate. Ed in tal senso, l'importante è non risparmiarsi quando ne vale la pena: "scegliere metodi di non agire è stata l’attenzione e lo scrupolo della mia vita" (Fernando Pessoa).

 

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