98 miliardi da spendere per il Sud, l’ultima sparata del governo Renzi

fumetto di Lino Buscemi

Una premessa per evitare equivoci: il governo Renzi è in carica dal 22 febbraio del 2014, ossia da ben 880 giorni. Risulta composto da 16 ministri più il Presidente del Consiglio. 9 ministri sono del nord, il Presidente più 6 ministri provengono dalle regioni del centro Italia, mentre il sud (isole comprese) è rappresentato appena da un ( 1 !!) solitario ministro.

Seguono uno stuolo di viceministri e sottosegretari (provenienti per la maggior parte dal centro- nord) che, con la loro presenza, certamente non attenuano, sia dal punto di vista territoriale che politico, la evidente e prevalente connotazione antimeridionale di un Gabinetto del quale tutto si può dire tranne che sia stato nominato per rispondere alle legittime aspettative della assai numerosa popolazione che risiede, dimenticata e abbandonata a se stessa, nel mezzogiorno d’Italia. Il giornalista Bruno Manfellotto, su l’Espresso del 14 luglio scorso, anticipa l’impietosa analisi contenuta nel rapporto 2016 della Svimez scrivendo che “ …nel Sud le famiglie povere sono aumentate del 40%; una su cinque denuncia difficoltà nel rifornirsi d’acqua; i consumi sono diminuiti del 13%. La popolazione invecchia, e i morti sono più dei nuovi nati; quattro giovani su cinque non lavorano, in 15 anni se ne sono andati via in 500 mila, il tasso di disoccupazione è doppio che nel resto del Paese. Quattro ragazzi su dieci non raggiungono un diploma superiore, crollate anche le iscrizioni nelle università del sud…In quanto a ricchezza prodotta , il divario nord-sud si allarga”.

Qui mi fermo, non tralasciando di sottolineare che il medesimo giornalista, giustamente, completa l’elenco con nuovi e antichi mali (criminalità, disservizi, malamministrazione, spesa pubblica facile, mancanza di infrastrutture essenziali, corruzione, sperequazioni sociali, eccetera) per concludere che ci troviamo davanti ad un “quadro desolante”. Premesso ciò, confesso che sono rimasto basito nel leggere un curioso (!?), per tempi e modalità, articolo apparso sul Corriere della Sera on line del 13 luglio scorso e contenente una “trionfale” dichiarazione del poco appariscente fiorentino (ma fidato, da lunga data, collaboratore di Matteo Renzi ) Luca Lotti, nientemeno che sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cosa ha dichiarato costui, dopo due anni e mezzo di assordanti silenzi? Semplicemente ( e ovviamente a suo modesto avviso) che “ il problema del sud non sono i fondi. Ci sono 98 miliardi di euro da spendere da qui al 2023, ma mancano idee e progetti”. Ed ancora “ce ne siamo accorti subito, oggi l’Italia ha un patrimonio di 98 miliardi di qui al 2023 da spendere” per le politiche di sviluppo del meridione, per il masterplan (una sorta di piano generale di programmazione condiviso). Accipicchia che sesquipedale notizia!   Se il “ dinamico” Lotti avesse sciorinato quella cifra fuori dalla sede ufficiale nella quale l’ha comunicata ( un seminario pubblico organizzato dalla Uil), forse non gli avremmo dato peso o gli avremmo creduto poco visto che le quotidiane “sparate”, prive di fondamento, del governo non si contano più. Ma non è finita qui. Il Lotti, tomo tomo e quatto quatto, ha testualmente aggiunto: “Il problema è la mancanza delle idee, progetti, e la capacità di spesa della pubblica amministrazione e della semplificazione delle procedure. Ho ereditato dal Cipe una situazione con una miriade, oltre mille, di progetti approvati nei 7 anni precedenti, che non arrivano nemmeno nella cabina di regia del Cipe per poter andare avanti. La maggior parte dei quali provenienti dalle nostre regioni del Sud”.

Perchè il sottosegretario Lotti ha impiegato 880 giorni per dare una siffatta “straordinaria” notizia agli italiani? Non si è accorto che il Mezzogiorno “boccheggia” da lunghi anni? Come mai non si è posto, da subito, il tema (vastissimo) della “semplificazione delle procedure” allertando il ministro della Semplificazione e pubblica amministrazione Marianna Madia ? Una questione così importante (spendere celermente 98 miliardi di euro!) non può essere affrontata dopo il problemino (enfatizzato e strumentalizzato) della “ lotta” ai furbetti del cartellino ( tanto caro, sul piano della propaganda, alla Madia che sembra non essersi accorta che la materia è da tempo ben regolata dalle leggi e dai contratti collettivi di lavoro). Quali remore avrà avuto il Lotti, in due anni e mezzo di “attività” governativa, per non attivarsi con tutte le sue forze per sopperire all’assenza di idee e progetti? Ammesso che abbia ragione Lotti che esistono davvero 98 miliardi di euro spendibili, chi può dire, a parte lo stesso Lotti, che le cause del blocco della spesa sono da ricercare, davvero, solo nella “mancanza di idee e progetti”? O c’è, ragionevolmente, qualcosa di più rilevante che il sottosegretario di Renzi non dice per non turbare il clima politico? Data la posta in gioco ( 98 miliardi di euro non sono mica “bruscolini”) , è necessario un supplemento di responsabilità per evitare che quello di Lotti rimanga un mero annuncio giornalistico in una assolata e calda giornata di luglio.

Quella cifra da capogiro può far cambiare in meglio molte cose: il volto di intere regioni della Repubblica, il Pil, il reddito degli italiani, l’occupazione soprattutto quella giovanile, le sperequazioni sociali e territoriali. In sintesi una rigorosa urgente operazione verità, aiuterebbe non poco a rimuovere ostacoli e a passare dalle parole (quelle del governo) ai fatti. Dunque è quantomeno insufficiente, se non fuorviante, fissare l’attenzione sull’assenza di idee e progetti se non si affronta, alla radice e con la necessaria determinazione, la grande questione del funzionamento delle istituzioni (non solo locali), dei pubblici uffici e della qualità degli uomini che li governano e li amministrano. La politica, quella con la P maiuscola, bandendo provincialismo e mediocrità, deve imprimere una svolta democratica mettendo, non gli apparati o i poteri forti, ma i cittadini al centro, immediatamente, di un vero percorso riformatore e di modernizzazione dello Stato in tutte le sue articolazioni. La “riforma” costituzionale di Renzi e Verdini e la legge elettorale (il cosiddetto Italicum), non aiutano affatto né a far funzionare le istituzioni né a selezionare la rappresentanza politica e amministrativa.

Sono” riforme “autoritarie ed autoreferenziali che non faranno uscire il Paese dall’immobilismo politico e dalla crisi economica, sociale ed etica che lo caratterizzano. Votando “NO” al prossimo referendum confermativo, i cittadini possono cambiare il corso delle cose aprendo nuove prospettive per un futuro di progresso, con istituzioni funzionanti e un ceto dirigente, adeguatamente selezionato e legittimato dal voto popolare, all’altezza della situazione e della complessità dei problemi. Un futuro nel quale nessun ministro o sottosegretario potrà più dire, con il sorriso sulle labbra, che non si possono spendere ingenti risorse economiche perché mancano “idee e progetti”. Fino a quando lor signori si possono consentire il lusso di abusare, senza ritegno, della pazienza degli italiani? O, peggio, di farsi beffa dei disagi e delle sofferenze dei ceti più deboli?