Beni Culturali, non buttiamo via il bambino e l’acqua sporca

fumetto di Gaetano Pennino

PALERMO, 3 agosto – Leggo sempre gli articoli che codesta testata pubblica, a firma di Michele D’Amico, aventi come oggetto i Beni culturali e i problemi legati alla loro gestione, nell’ambito della Regione Siciliana (leggi qui l'articolo). Nel leggerli trovo argomentazioni equilibrate, stimolanti e meritevoli di attenzione. Per una volta tuttavia ritengo di dover fornire alcune considerazioni a margine dell’ultimo articolo ‘Beni culturali: cronaca di un declino annunciato’ consegnato al web il 17 luglio scorso.

Nel fare ciò infrango una regola che mi sono dato fin dal primo giorno in cui ho assunto la responsabilità del Dipartimento regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana: una regola che ha sempre imposto la priorità del fornire risposte, alle osservazioni e alle polemiche, non con repliche e parole, bensì con fatti concreti e azioni costruttive; una regola che ho scelto in forma rigida, duratura e prolungata, legata al convincimento che l’agire in positivo sia la migliore conseguenza del principio di produttività e di edificazione di nuovi percorsi di efficienza.

Ciò che rileva D’Amico nel suo articolo è solo uno degli innumerevoli nodi problematici che aggrovigliano la complicata gestione dei Beni culturali della Regione, la cui analisi andrebbe sviluppata con elementi di dettaglio, statistiche, esame di atti, di modelli organizzativi, di formule comparative, di rapporti contrattuali, di prospettive culturali e molto altro ancora, non compatibili con una sede quale quella che ospita questi, pur utili, commenti. Mi limiterò pertanto a enunciare solo un parziale elenco delle questioni che dovrebbero poter ispirare una nuova stagione dei Beni culturali in Sicilia, non rinunciando all’indicazione di quanto è stato realizzato in questi ultimi anni, nel convincimento che, come suol dirsi, a nulla serve ‘buttare via il bambino con tutta l’acqua sporca’. Va detto però che, per quanto possa e debba essere sintetico ed enunciativo, non potrà essere sufficiente un solo mio contributo, con ciò intendendo che quanto dirò di seguito, se la testata me lo consentirà, potrà costituire solo il primo punto dell’elenco a cui ho fatto riferimento, rinviando a successivi contributi la trattazione di questioni che, come s’è detto, sono di fatto molto complesse e che pertanto devono essere oggetto di necessarie specificazioni.

Prima considerazione: la svolta radicale che consentirebbe un cambio di passo nel settore di cui stiamo trattando è legata a ‘veri’ processi di semplificazione amministrativa correlati a ‘veri’ processi di trasparenza nella conduzione e nella conoscenza dei procedimenti. Ciò che è avvenuto negli ultimi anni (e non solo nel campo dei Beni culturali) è un oggettivo appesantimento di ogni passaggio che comporti non solo la gestione e l’organizzazione del lavoro ma, soprattutto, la conduzione della spesa e l’attuazione delle azioni di programma. E, paradossalmente, ciò è avvenuto proprio all’insegna della volontà di semplificare, accelerare e di rendere chiaro ogni segmento del percorso amministrativo, come se, nel tentativo di raggiungere un obiettivo, si fosse operato in senso opposto allontanandosi da esso ‘in direzione ostinata e contraria’. I principî ispiratori di tali processi dovrebbero comportare almeno due passaggi. 1) La riduzione drastica dei percorsi decisionali in ossequio a un principio di responsabilità in base al quale un procedimento adottato da un responsabile è definitivo per la parte relativa alla responsabilità già assunta e consumata; il controllo della regolarità di ogni assunzione di responsabilità (peraltro doveroso e non eliminabile in un sistema democratico e basato sugli equilibri dei poteri) non deve rallentare i percorsi avviati attivando una rivisitazione integrale della responsabilità già assunta in una forma del tutto sovrapponibile a quella già consumata, deve bensì far progredire a uno stadio più avanzato del procedimento gli atti sottoposti al controllo. Per semplificare: non è più sostenibile che la catena burocratica dei procedimenti amministrativi si ripeta nell’intera sua filiera su ogni tavolo in cui la pratica progredisca nel suo iter approvativo. Ne sanno qualcosa, per fare un concreto esempio, proprio i lavoratori dei Beni culturali e, in particolare, quelli che compiono servizi di turnazione che vedono riconosciute le indennità previste dal contratto con ritardi enormi, derivanti dall’odissea di percorso che deve effettuare ogni computo della parte economica maturata e ogni liquidazione a esso correlata (odissea che comprende sia la parte concertativa sia la parte prettamente amministrativo-contabile).

2) La trasparenza dei provvedimenti non può comportare il riversamento sul web di una quantità enorme di documenti e di atti la cui consultazione riveste solo un ipotetico e potenziale interesse di soggetti terzi che, comunque, avrebbero sempre il diritto di entrarne in possesso a seguito di semplice richiesta. In altri termini, non è più sostenibile che in una organizzazione amministrativa quale quella dei Dipartimenti regionali, ormai completamente affidata a percorsi informatizzati (dunque a tracciabilità potenzialmente accessibile a tutti), si debba duplicare attraverso un defatigante processo di inserimento sul web di atti, la produzione di documenti già sostanzialmente presenti in rete e accessibili al pubblico. Gli uffici attendono un evoluto ragionamento – si direbbe ingegneristico – di accesso agli atti sul web che consenta di evitare l’appesantimento delle operazioni riguardanti la trasparenza, sovente coincidente con la reiterazione di percorsi variamente già consumati e fruibili in varie forme già presenti in rete.

Qualcuno potrebbe dire, a questo punto: ma cosa c’entra tutto questo con quanto espresso nell’articolo di D’Amico cui si stanno fornendo riflessioni a margine?
Rispondo, avviandomi alla fine di questo primo contributo, che c’entra moltissimo, nel senso che prima ancora di immaginare i ‘profili professionali’ o la riorganizzazione del lavoro negli istituti periferici del Dipartimento dei beni culturali, occorrerebbe mettere mano ai meccanismi di decisione e di produzione degli atti amministrativi che presiedono e preludono, in quanto propedeutici, a tutti gli altri percorsi. E la semplificazione amministrativa vera è l’unica ricetta per far progredire ogni decisione che si assuma nell’ambito anche dei modelli organizzativi e di gestione, stante le sue determinanti e pregiudiziali conseguenze sui tempi e sui modi di traduzione delle scelte di conduzione e di governo in fatti concreti. Ma su questo, se mi sarà consentito, spero di poter ritornare in un prossimo contributo, ripartendo, se sarà possibile, da una seconda considerazione.

Infine, per l’elenco delle ‘cose’ positive, desidero evidenziare solo due elementi: 1) spero si sia notato che, con qualche eccezione dovuta a difficoltà non reversibili, grazie anche alla disponibilità delle sigle sindacali e principalmente di molti lavoratori, da almeno due anni non si assiste a fenomeni traumatici relativamente all’apertura dei siti della cultura nei giorni festivi (nonostante una certa (dis)informazione tenda a far apparire il contrario); 2) spero si sia notato che fino al 2015 il livello della certificazione della spesa comunitaria, nel settore dei beni culturali, era fermo (dal 2007) a poco più di 45 milioni di euro; nel solo anno 2016 è stata certificata spesa per poco più di 90 milioni di euro, cioè il doppio di quanto certificato nel corso dei primi 9 anni di programmazione. Scusate se è poco… ma l’elenco è ancora lungo.

* Dirigente Generale del Dipartimento "Beni Culturali" della Regione Sicilia