fumetto
di Giuseppe Leto
I risultati elettorali recenti, se a destra alimentano i rituali trionfalismi di chi governa il Paese, scatenano a sinistra la consueta caccia al capro espiatorio che nulla aggiunge alla causa della crisi mondiale della sinistra.
Ha perso la Schlein, ha perso il PD, colpa del M5S, no alle larghe intese e così di seguito in un crescendo teso ad individuare qualcuno senza una domanda, ai diversi livelli internazionali, nazionali e locali, che ponga al centro del dibattito la ricerca del qualcosa.
Perché la maggioranza degli elettori deserta le urne lasciando libero campo alla minoranza delle nuove destre estremiste? Perché le disastrose conseguenze delle politiche per la salvaguardia del pianeta, i crescenti focolai di guerra pagati con la morte e le mutilazioni dei giovani in armi, con le macerie sulle quali si sognano resort, gli orrori di Gaza, se da un lato smuovono le coscienze e riempiono le piazze, dall’altro non attirano il popolo dissenziente ad esprimersi nelle urne?
Con la caduta del muro di Berlino del novembre del 1989 si è fatta strada, in maniera progressivamente più forte, l’idea che l’unico modello di organizzazione della società sia quello che pone al centro il profitto.
Questo convincimento, profeticamente scongiurato da Berlinguer, denunciato dalla Chiesa prima con Papa Francesco e la CEI, oggi ripreso da Papa Leone, ha preso campo; ha contaminato la sinistra che non ha saputo contrapporre altro che il riformismo.
Quello del profitto è il campo della destra. Ritenuto da questa riservato al privato, precluso all’ingerenza dello Stato che in democrazia si identifica con il popolo.
Quali i risultati di questa presunzione? Il primo quello di una sinistra che ha gareggiato nella svendita delle imprese parapubbliche, mutilando lo stato dell’esercizio del potere sull’economia, che ha concorso a sacrificare i risparmi della povera gente per sorreggere la crisi delle banche provocata dal sistema finanziario, che ha opposto una resistenza flebile alle scorrerie del profitto che oggi imperversa in forme sempre più spudorate e pone pesanti ipoteche sugli stati a sovranità popolare.
In questo contesto, che in meno di mezzo secolo ha concentrato nelle mani di un esiguo numero di nababbi il 90% dell’intera ricchezza prodotta nel mondo, che ha suggellato il monopolio di un privato nella conquista dello spazio, che ha monopolizzato il sistema delle comunicazioni, sta tutta l’incertezza di una sinistra smarrita che non sa verso quale futuro marciare.
Sta qui, a mio avviso, il disappunto di un popolo di sinistra che si chiede quali siano i limiti invalicabili di un riformismo che non ha saputo frenare l’ingordigia del profitto, che ha contribuito ad approfondire il baratro della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza prodotta, che balbetta sulla universalità dei diritti.
Sta tutto qui, a mio avviso, lo smarrimento di una sinistra mondiale che non sa per quale modello di società lottare, che si interroga se la provvidenziale caduta del muro di Berlino che esprime la repulsione verso qualsiasi sistema dittatoriale, significa anche rigetto di Marx e della stessa Costituzione Italiana che all’articolo 1 pone al centro dell’organizzazione sociale non già il profitto ma il lavoro.