Scagionato Carlo Cassarà. Pene più lievi per Pietro Cassarà, Davide Adimino e Claudio Alongi
PALERMO, 12 giugno – Nella mattinata odierna i carabinieri della sezione di Polizia Giudiziaria della Procura di Palermo e quelli della Compagnia di Monreale hanno eseguito un provvedimento di sottoposizione agli arresti domiciliari nei confronti di due persone conviventi, imprenditori, in ordine alla provvisoria contestazione dei reati di autoriciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, emesso dall’Ufficio del Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo.
La prima sezione della Corte d’appello del tribunale di Palermo, infatti, presieduta da Adriana Piras ha deciso per un’assoluzione e tre condanne, riducendo però l’ammontare della pena rispetto al giudizio di primo grado, avvenuto nel gennaio del 2016. La sentenza, inoltre, ha escluso che il traffico di droga riguardasse la cocaina. Inoltre è stato tutto scagionato Carlo Cassarà, che in primo grado era stato condannato a 4 anni. Sei anni a testa erano stati inflitti al figlio, Pietro Cassarà, a Davide Adimino e Claudio Alongi. Tutti e tre, adesso, vedono ridurre la pena.Il primo, passa a tre anni e 2 mesi, in continuazione con un’altra sentenza per fatti analoghi, emessa il 28 febbraio 2012 dal Gup; Alongi, conosciuto come u Scuparu, ha avuto inflitta una pena di tre anni e due mesi; Adimino, per gli amici U Sciù Sciù, due e quattro mesi.
Carlo Cassarà, conosciuto come Salvuccio, come detto, l’unico assolto in questa fase di giudizio, è stato difeso dall’avvocato Piero Capizzi, legale anche dell’altro Cassarà e Adimino.
Il giudizio di primo grado aveva visto le assoluzioni di Paolo Alisena, Maria Grazia Bruno, Giovanni Adimino, Giuseppe La Corte, Christian Madonia, Mauro Picarella, Daniele Massaro e Giovanni Pupella (classe ’90). L’altro Giovanni Pupella, invece (nato nel ’92), era stato prosciolto per il principio di “ne bis in idem”, quello, cioè, per il quale non si può essere giudicati due volte per lo stesso reato, poiché la difesa ha provato che il giovane era stato già condannato nel febbraio del 2013. La tredicesima imputata, infine, Sofia Leto aveva scelto la strada del patteggiamento, venendo condannata a due anni (pena sospesa). Ad emettere la sentenza era stato il Gup Lorenzo Matassa, che aveva accolto solo in parte le richieste del pm, Enrico Bologna.
L’operazione Urban Justice, come detto, risale al 23 aprile del 2013 ed era scattata al termine di indagini condotte dai carabinieri di Monreale per contrastare il fenomeno dello spaccio di droga. Secondo i militari due bande parallele, due organizzazioni malavitose interconnesse, che operavano sul territorio, agendo spesso in stretta collaborazione, si sarebbero spartite il territorio. Il tutto per coprire capillarmente la "piazza" di Monreale nell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
Il provvedimento di arresto, che recava la firma del Gip Fernando Sestito, era il frutto di un'attività investigativa durata circa un anno, coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dal sostituto procuratore Alessandro Clemente. Le indagini si erano avvalse dei metodi tradizionali, fatti di appostamenti, pedinamenti, di numerose intercettazioni telefoniche, oltre che di qualche collaborazione confidenziale.
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