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Beni Culturali, l’autonomia finanziaria non basta

"Chi dice che di cultura non si mangia fa solo valutazioni grossolane"

PALERMO, 25 agosto - Un articolo del disegno di legge "Semplificazioni dell'ordinamento dei beni culturali e del paesaggio", voluto dal governo Lombardo nel 2010, prevedeva la soppressione dei comitati di gestione del Centro del Restauro e del Centro Catalogo.

Come è noto, il Centro del Restauro e il Centro del Catalogo sono due istituti centrali dell'amministrazione dei beni culturali. I comitati di gestione garantivano e ancora oggi garantiscono, sebbene in minima parte, a causa della continua erosione di risorse da parte dei governi regionali che si sono succeduti dal 2008 ad oggi, un'autonomia gestionale dei due istituti.

Si faccia presente che ancora oggi, nonostante le molte difficoltà, l’autonomia contabile del Centro Restauro, serve a finanziare un corso di laurea in conservazione e restauro dei beni culturali da cui ogni anno escono tanti bravi giovani restauratori. Corso, fra i pochi, capace, ancora oggi, di assicurare qualche sbocco lavorativo.

Il corso di laurea in conservazione e restauro dei beni culturali è stato, peraltro, motivo di vanto per l'amministrazione dei beni culturali. E' stato, infatti, proprio grazie a quei corsi universitari e alle professionalità interne che è stato possibile assegnare al Centro del Restauro, il restauro di parte della Villa Romana del Casale, della Cappella Palatina, della Fontana Pretoria, etc.. “Ovviamente” proprio perché motivo di orgoglio e di vanto, nessun giornalista, di quelli che sono soliti demolire l'amministrazione regionale e apostrofare con la parola "fannulloni" i dipendenti regionali, ha scritto nulla al riguardo.

In quella circostanza fu proposto, anziché l'abolizione dei comitati di gestione dei due centri regionali, che l’autonomia gestionale venisse estesa a tutti gli uffici periferici, in maniera tale da consentire l’esercizio effettivo delle responsabilità gestionali, affidate per legge ai dirigenti preposti a capo delle strutture del sistema dei beni culturali.

La politica allora non raccolse l'invito, mentre oggi si parla e si scrive di concedere l'autonomia finanziaria alle strutture museali, ai parchi, etc., come se si trattasse della panacea al male che assale il sistema dei beni culturali e, dunque, come della risoluzione di qualsiasi problema.

Sia subito chiaro, l'autonomia finanziaria, sulla falsariga di quella concessa all'ente parco della Valle dei Templi, concedibile a qualsiasi struttura dei beni culturali siciliani, non basta da sola a valorizzare il territorio nel quale la medesima struttura è inserita.

A supporto di quanto si sta rappresentando, se si considera il periodo che va dal 2002 al 2014 e si esaminano i dati della fruizione della Valle dei Templi, si può osservare che il dato totale dei visitatori (paganti e gratuiti) del 2002 al 2014 ha scarti annuali dalla media aritmetica, nel periodo considerato, risibili; ma vi è di più proprio il dato registrato nel 2002 è persino, non solo superiore a quello registrato nel 2014, ma di quello registrato in ogni annualità del periodo posto sotto osservazione.

Pertanto, a meno che non ci si voglia attestare sui numeri di visitatori annuali (paganti e gratuiti) degli ultimi quindici anni, è lecito pensare che, lo si ribadisce, da sola l'autonomia di un sito culturale non basta a valorizzare un territorio. Si ritiene, perciò, necessario che tale autonomia venga accompagnata da ingenti investimenti strutturali, a partire dalla trasformazione del "medievale" sistema di comunicazione regionale in apparato efficiente, al fine di favorire gli spostamenti da una città all'altra della nostra regione. Di questo ammodernamento del sistema dei trasporti ne gioverebbe l'intera economia siciliana e non soltanto il sistema dei beni culturali.

È necessario, nel caso dei beni culturali siciliani, che si passi ad ammodernare strutturalmente e tecnologicamente i siti, magari in maniera graduale, ovvero partendo da quei siti che hanno un grande richiamo turistico per poi investire i ricavi derivanti da questi investimenti nei siti cosiddetti minori ma pieni di storia millenaria. Tutto ciò può avere inizio solo e soltanto se si avvia un percorso virtuoso che porti a investire il frutto degli investimenti, ancora da fare nei siti cosiddetti a vocazione turistica e di grande attenzione, per rilanciare l'offerta culturale nel suo complesso.

Nell'ottobre del 2012 l'amministrazione dipartimentale consegnò alle organizzazioni sindacali un documento che fotografava in maniera impietosa una situazione degradata sugli impianti di sicurezza dei siti siciliani. Da allora la politica nulla ha fatto per migliorare la situazione, al contrario ha operato in peggio, nel senso che sono state detratte importanti risorse dal relativo capitolo di spesa del bilancio regionale.

A un ex ministro che, grossolanamente, anni fa teorizzava che con la cultura non si mangia, bisognerebbe rispondere con un programma in cui l’ambizione di fare della cultura una potente leva di sviluppo, dovrebbe sgorgare da ogni sua pagina. Cultura nella sua tripla accezione: cultura della tutela, cultura della valorizzazione, cultura dell'educazione permanente: un'antica vocazione dei beni culturali messa da parte con il passare del tempo.

Vogliamo per caso quantificare il valore di educare all'arte i nostri figli e di non farli crescere nella consapevolezza, ormai purtroppo diffusa, che il denaro costituisce l'unica unità di misura generalizzata della nostra società? Tutto ciò non può essere prezzato, tutto ciò ha un valore infinito.

Insomma, senza alcun investimento strutturale, senza i soldi per la manutenzione ordinaria, non si andrà da nessuna parte e ancora una volta ciò che nel settentrione d'Italia, ma anche per chi scrive, appare come una buona soluzione, ossia l'autonomia finanziaria come strumento, in Sicilia non potrebbe funzionare proprio per la mancanza degli investimenti strutturali che al nord, invece, sono presenti.

Ovviamente l'autonomia finanziaria di un sito per funzionare necessita innanzitutto della condizione che la regione si assuma sempre l'onere di pagare i salari al personale, altrimenti la costruzione crollerebbe miseramente. Inoltre tutti gli organismi del costituendo ente che verrebbe a formarsi (legge regionale n. 20 del 3 novembre 2000) dovrebbero essere ricoperti a titolo gratuito dagli operatori del settore interessati alla valorizzazione territoriale, senza che la politica ambisca a creare posti di sotto governo.

La Sicilia non ha bisogno di politici che si sono autoproclamati rivoluzionari del nulla e che, invece, in nome della revisione di spesa hanno costantemente eroso i fondi per gli investimenti strutturali e per le politiche di valorizzazione dei beni culturali siciliani.

La Sicilia, come la parte continentale del Paese, non ha bisogno di politici che guardino oltralpe. Politici che, per rifarsi una verginità perduta a causa di scelte scellerate perseguite negli anni precedenti, adesso confidano di affidare a professionalità non italiane le redini di un tracollo annunciato.

La questione non è l'origine delle professionalità italiane o non italiane che saranno impiegate nella gestione dei siti culturali, la questione è molto più semplice di quanto si possa immaginare, ed è fondamentalmente culturale. Essa risiede proprio in quella cultura politica italiana che per anni ha teorizzato che con la cultura non si mangia e che in tempi di risorse non abbondanti, ha tagliato, primi fra tutti, proprio quei fondi che si ritenevano ininfluenti per "mangiare". Sono certo che costoro saranno i primi a sostenere la loro estraneità al tracollo di un sistema già ridotto ai minimi termini.

La Sicilia ha semplicemente bisogno di politici competenti che la sappiano Amare di un Amore con la A maiuscola.