“Immigrazione e coppie civili, quella lettera non la condividiamo”

Un punto di vista opposto sulla tematica rispetto a quello pubblicato ieri

MONREALE, 21 settembre – Ha aperto un dibattito acceso sui social network e ricco di spunti - a volte composti, a volte un po’ meno – l’articolo pubblicato ieri sulla nostra testata a firma di Mimmo Mirto dal titolo «Immigrazione e coppie civili, il punto di vista di un cattolico».

L’articolo, che ha ottenuto migliaia di visualizzazioni, così come era nelle intenzioni della nostra testata, è servito a dare a dare vita ad un confronto su una tematica di grande attualità sulla quale, come spesso accade, l’opinione pubblica si divide. E le posizioni nette evidenziate dall’autore hanno diviso vieppiù i nostri lettori, che si sono schierati in fazioni in una sorta, di confronto ideologico. Risultato centrato in pieno, quindi, dal nostro punto di vista giornalistico, che però per essere completo, necessitava di una posizione contrastante, per una sorta, appunto, di completezza di informazione, di fronte alla quale non ci siamo mai tirati indietro, fortemente convinti, tra l’altro, che l’onestà intellettuale sia valore fondante di chi ritenga di dover fare una corretta informazione. Tra gli interventi che non hanno tardato ad arrivare abbiamo selezionato quello pervenutoci da Marcello Pupella, monrealese e Lorenzo Canale, di Casteldaccia, imprenditore della ristorazione il primo, pianificatore territoriale il secondo, che pubblichiamo integralmente:

Gentile redazione e gentili lettori di Monreale News,

siamo Marcello Pupella e Lorenzo Canale, due cittadini italiani, e scriviamo a questa testata ispirati da una lettera pubblicata in data 20 settembre 2015, dal titolo «Immigrazione e coppie civili, il punto di vista di un cattolico», a firma di Mimmo Mirto, lettera che noi non condividiamo affatto nei contenuti.

Sia chiaro che nulla di quello che scriveremo è contro la persona Mirto ma, questo sí, contro i concetti errati e a parer nostro pericolosi, di cui quella lettera è viatico. Inoltre, come lo stesso titolo della lettera palesa, quella non è la posizione del medico Mirto o la posizione ufficiale di un attuale consigliere comunale (e sinceramente non ci è chiaro il perché sia stato specificato l’ex ruolo in comune del signor Mirto) ma è la posizione di un cattolico, non “dei cattolici” e ancor meno dei cristiani tutti. È una riflessione personale e quindi tale resta e non ci passa per la testa di discuterla. Noi crediamo assolutamente nella libertà di pensiero nel rispetto delle differenze di vedute.

Altra cosa, invece, riguarda i contenuti della lettera di cui sopra e che vanno assolutamente analizzati e su cui va fatta una seria riflessione.

La lettera inizia con una serie di argomenti condivisibili e a parer nostro assolutamente di buon senso, come la condanna del razzismo attuale e del sentimento xenofobo in genere, la riflessione sulla vita e sulla dignità della persona, la riprovazione per una cultura dell’arricchimento personale e dell’iper-sfruttamento delle risorse naturali, etc. tutti temi che sarebbe difficile non condividere. Questi argomenti, peró, vengono accuratamente combinati con un presunto “attacco alla Famiglia Tradizionale”, come se le cose fossero connesse o, peggio, legate da un rapporto causa-effetto. Voi immaginate come il riconoscimento di altre forme di unione, accanto a quella tradizionale, provochi uno sfruttamento delle risorse delle materie prime africane o indiane? Magari lo sfruttamento di diamanti e le conseguenti terribili guerre di Sierra Leone e Angola sono causate dalla richiesta di diritti umani e civili in Italia? Ovviamente no! Chiunque abbia letto “L’arte di ottenere ragione”, di Arthur Schopenhauer, coglierebbe immediatamente il collegamento strumentale dei temi non legati tra loro ma, diciamo la veritá, non serve certo conoscere questo autore e i suoi stratagemmi oratori per comprendere quanto, temi e atteggiamenti palesemente condannabili siano stati usati per introdurne uno completamente slegato ai precedenti e con il fine di farlo percepire come negativo al pari degli altri. Siamo certi che l’autore della lettera non lo abbia fatto in malafede ma il risultato è questo, ancor piú che poi si parla di modelli “inediti e innaturali di convivenza” (che forse si ignora non essere affatto inediti né innaturali).

La “sacralità della vita e la tutela della dignità umana”, di cui si scrive in quella lettera e che sono assolutamente condivisibili per un credente così come per qualsiasi altro cittadino, vengono deteriorati oggi che si tende a fare scelte consapevoli, trasparenti e mature anche nello sposarsi e nello scegliere di mettere al mondo un figlio oppure erano assolutamente calpestati quando i figli si facevano “perché si doveva farlo” senza valutarne le conseguenze? Vengono deteriorati oggi che le donne fortunatamente possono fare scelte personali o quando le donne erano oggetti in mano prima al padre e poi al marito, senza mai avere diritto di parola, di scelta, di rifiuto? La moralità della persona viene calpestata oggi che vige il principio di consapevolezza o quando le persone erano costrette a vivere secondo dettami sociali che non spingevano alla consapevolezza delle scelte ma all’osservanza di regole religiose e culturali talvolta avvertite come proprie e altre no?

La dignità della persona è calpestata oggi che le persone con orientamento omoaffettivo o omosessuale vivono serenamente la propria vita individuale e di coppia oppure quando erano costrette a fingere di essere altro rispetto alla loro natura? E inoltre, i “robot e i transformer” di cui scrive l’autore della lettera e secondo cui le fantasiose e strumentalmente inventate “teorie gender” starebbero spingendo la società, sono veramente le persone libere e consapevoli che scelgono già oggi (e che sceglieranno anche in futuro) di essere se stessi e di vivere serenamente, equilibratamente e in piena trasparenza la propria essenza di individuo, di figlio, di genitore, di studente, di lavoratore, di parte di una coppia eterosessuale o omosessuale? No! I robot e i transformer sono state, purtroppo, le persone che per secoli (ma non da sempre) sono state costrette a fingersi ció che non erano per poter vivere un minimo di serenità, reprimendosi, reprimendo il proprio amore, talvolta vivendolo in silenzio (come fosse una colpa) e altre non vivendolo completamente perché la paura della violenza della societá e della comunitá circostante, superava persino la propria natura. Noi non diamo una risposta a queste domande, preferiamo che ognuno possa dare la propria.

Certo è che la dittatura culturale, ideologica, religiosa di una parte di cittadini su tutti gli altri non è accettabile, non deve essere accettabile per uno Stato laico e rispettoso delle sensibilità e della natura di tutti i suoi cittadini e, ci venga concesso di dirlo, ancor meno dovrebbe essere tollerabile per i cristiani che il dio in cui credono venga interpretato come seminatore d’odio, di violenza, di paure e di silenzi invece che emanatore di amore e di luce (e ci preme ripeterlo, per fortuna la maggior parte dei cristiani pensa che il loro Dio è amore e non discriminazione).

Uno dei passaggi inammissibili della lettera (e speriamo sinceramente che l’autore non si sia reso conto della gravità e delle potenziali conseguenze di quanto scritto) è il seguente: «Allo stesso modo oggi si assiste, con toni talora accesi, al dibattito sui pari diritti agli omosessuali, alle lesbiche, ai transessuali, al dibattito sul gender. Ineludibile riconoscere a costoro dei riconoscimenti civili, rientra nel nostro spirito Cristiano di tolleranza, di accoglienza, di integrazione, di considerare gli altri come nostri fratelli.»

Chiunque creda che tutti i cittadini siano uguali di fronte alle leggi dello Stato, che creda che i diritti umani appartengono alla persona a prescindere dall’area del mondo in cui questa vive e che i diritti civili appartengano a tutti i cittadini a prescindere da razza, sesso, etnia, religione e convinzioni (come la nostra Costituzione prevede), leggendo questo passaggio, sará rimasto incredulo per il concentrato di concetti pericolosissimi: per prima cosa viene scritto di riconoscere pari diritti alle persone omosessuali, lesbiche e transessuali, come se i diritti fossero cose da riconoscere o meno in base al sesso o all’orientamento affettivo della persona; la seconda cosa grave è che qualcuno pensa di poter essere legittimato dalla propria religione a “concedere” diritti ad altri cittadini come se il primo stesse su un gradino più alto dell’altro; la terza cosa grave è che ancora una volta si parla e scrive di “gender”, cioè di qualcosa che non esiste se non nella mente di fanatici religiosi che usano gli “gender studies” (ovvero gli studi di genere che fin dagli anni ’70 mirano a superare le discriminazioni sociali, culturali, lavorative ed economiche esistenti tra uomo e donne e a valorizzare la cultura delle differenze per preparare ad una societá interculturale e interraziale) per stravolgerne il significato e parlare di inesistenti “teorie gender” (neppure il nome ha senso) che mirerebbero a scardinare famiglia e valori cristiani (cosa falsa almeno che non si sostenga che secondo i valori cristiani la donna deve essere sottomessa all’uomo e che l’ampliamento di diritti a cittadini italiani, per superare attuali discriminazioni, vada ad intaccare inspiegabilmente i diritto di altri, ma la storia insegna esattamente il contrario).

Alla stessa maniera di come si miscelavano erroneamente temi condivisibili con un presunto attacco alla famiglia tradizionale, appare fuorviante (in quanto i temi sono assolutamente non legati tra loro) la condanna del razzismo con la pretesa di migranti e/o immigrati di imporre le proprie regole e il proprio credo, cosa non solo non vera (almeno che non si scambi la legittima pretesa delle persone non cristiane di praticare il proprio culto) ma che si chiama conquista e dominazione e non certo migrazione. Ma anche in questo caso la confusione di argomenti e livelli non si ferma alla presunta connessione precedente ma si scrive anche di immigrati che pretenderebbero la rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici in barba alle tradizioni religiose “di noi occidentali”: in questo caso la lettera contrappone un “loro” contro un “noi” come se esistesse un “loro unico” e un “noi unico”.

L’autore parla di identitá come se fossero monoliti ignorando, probabilmente, che solamente sparuti migranti hanno chiesto questo gesto mentre, invece, ormai da decenni, la richiesta di reale laicitá delle istituzioni e di rimozione dei simboli religiosi dai luoghi non religiosi ma rappresentanti tutta la collettivitá (scuole, tribunali, ospedali, prigioni, etc.) arriva da parte di noi Italiani, credenti e non credenti, che siamo convinti che solo uno Stato laico e parimenti rispettoso di tutti i suoi cittadini puó essere la reale piattaforma su cui costruire una societá matura e libera, una forma di convivenza che si fondi sul rispetto delle differenze e non una dittatura di una parte sulle altre. Volendo fare una breve parentesi, si potrebbe anche aggiungere che molti cristiani ritengono che, proprio perché il crocifisso è un simbolo religioso importante per loro, questo non dovrebbe essere usato come un pezzo di arredamento da imporre ovunque ma, al contrario, dovrebbe essere apposto nei luoghi di culto e nelle case di chi crede in quella religione, esattamente come succede con qualsiasi altro simbolo religioso a cui si vuole attribuire un reale valore. Ed è curioso come chi vuole imporre i propri simboli religiosi a tutti gli altri cittadini, come fossero catene da portare al collo, parli di censura del libero pensiero e di volontá di qualcuno (non si capisce bene di chi) di imporre qualcosa a loro.

A quale persona sana di mente, che crede nel valore della democrazia, della giustizia sociale e della libertá, è mai venuto in mente di impedire la presenza di crocifissi e altri simboli cristiani nella case dei credenti o nei luoghi di culto? A nessuno! Ci mancherebbe che ogni credente, di qualsiasi confessione, non possa professare, vivere e promuovere liberamente il proprio sentire religioso. Questa non è una concessione che qualcuno fa a qualcun altro ma è semplicemente un principio di giustizia. Al contrario, alcuni cristiani (per fortuna non tutti), ritengono che i simboli religiosi vadano imposti, come fossero armi da puntare contro un “nemico”, a italiani cristiani e italiani non cristiani, a residenti e a migranti, a credenti e non credenti, etc.

La lettera continua con l’autocompiacimento dell’autore per aver formato una famiglia tradizionale (siamo contenti che lui ne sia felice, ci mancherebbe) ma poi trascura completamente il fatto che l’Uomo è un animale pensante e che l’affettivitá è una componente fondamentale della specie, per parlare di modello unico di famiglia in cui il fine dell’accoppiamento e della riproduzione come se si parlasse di una mandria di mucche o di cellule in un laboratorio. No! A prescindere che il concetto di famiglia, dalle prime forme in Mesopotamia fino alla contemporaneità, passando per i filosofi greci, per quelli cristiani, per quelli laici o per le stesse riflessioni di Karl Marx è cambiato tantissimo ma, le persone sono molto altro e la famiglia non è un ovile in cui riprodurre agnelli ma è una cellula sociale, è un nucleo solidale fondato sull’amore di una coppia di persone che, proprio in base a questo legame stabile, riesce ad essere maggiormente utile alla crescita e al funzionamento di una comunità.

Si puó credere o meno al matrimonio o ai riconoscimenti ufficiali, si puó credere che il matrimonio sia una forma di unione borghese e limitante, si puó decidere di accedere a questo istituto civile o meno secondo le proprie convinzioni laiche o religiose ma i diritti umani e i diritti civili sono tali se sono accessibili a tutti i cittadini, altrimenti si chiamano privilegi di alcuni rispetto agli altri e il diritto ad essere riconosciuti come coppia dallo Stato in cui si vive e si opera, non è un diritto negoziabile.

Per tutto il resto della lettera si parla di proprie convinzioni religiose e personali e, come premesso, non riteniamo sia affar nostro entrare nelle convinzioni dell’autore che rimangono liberissime e legittime.

Per quanto analizzato ed espresso, peró, chiediamo ai lettori una riflessione sincera e non ideologica, perché solamente l’onestá intellettuale nel confronto tra persone e tra idee, puó portare a risultati costruttivi.