Non dichiarò il falso nel processo ‘Sintesi’, assolta la ex tutor dei tirocini formativi di Villa Sofia

Oggi è arrivato il verdetto: per E.M.R. “il fatto non sussiste”

PALERMO, 22 gennaio – Era stata chiamata dalla Procura della Repubblica come teste d’accusa, nel processo “Sintesi”, quello che vedeva tra gli imputati i consiglieri comunali di Monreale Sandro Russo e Aurelia Di Benedetto. Quelle sue dichiarazioni, però, non erano piaciute al piemme Gaspare Spedale, che già durante il dibattimento le aveva preannunciato la messa in stato d’accusa per falsa testimonianza. Oggi, però, quell’accusa pesante è venuta meno.

Il Gup Walter Turturici, infatti, al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, ha assolto E.M.R., 44 anni, perché il fatto non sussiste. L’accusa aveva chiesto, invece, la condanna a 10 mesi e 20 giorni. Il pronunciamento, il quarto che va nella stessa direzione, pertanto, potrebbe mettere la parola fine ad una vicenda, quelle dei tirocini formativi di Villa Sofia della cooperativa Sintesi, che andava avanti da circa sei anni.


E.M.R., che è tra i fondatori della stessa cooperativa sociale, nonché tutor di uno di quei tirocini formativi, era stata chiamata in causa dall’accusa nel processo: in discussione c’era l’esclusione di alcuni tirocinanti. In quella sede, però, la donna aveva affermato di non essere a conoscenza dei fatti, né dei motivi che l’avevano causato. Dichiarazioni, rese il 4 dicembre del 2014, che, come detto, non erano piaciute al piemme, che le aveva ritenute false e reticenti e che per questo aveva chiesto il rinvio a giudizio, in una sorta di processo “costola” dei precedenti, tutti, peraltro conclusi con l’assoluzione per gli imputati. La difesa, costituita dall’avvocato Piero Capizzi, è riuscita a confutare le accuse mosse a E.M.R.
La vicenda giudiziaria relativa al processo “Sintesi” aveva visto alla sbarra Sandro Russo, Aurelia Di Benedetto, Salvatore Requirez, Carlo Sitzia e Giuseppe Intravaia. Per i primi quattro il giudizio di assoluzione del 2013 aveva portato ad un secondo pronunciamento assolutorio nel 2016 per il principio del “ne bis in idem”, quello secondo cui non si può essere giudicati due volte per lo stesso reato, poiché gli imputati, per un reato ritenuto identico, erano già stati sottoposti a giudizio ed assolti. Non così per Giuseppe Intravaia, per la cui posizione il tribunale era entrato nel merito, assolvendolo con formula piena, poiché “il fatto non sussiste”.