Sui banchi di scuola il Gender: formazione o indottrinamento?

Riceviamo e pubblichiamo...

Da quando l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) ha prodotto e diffuso sussidi didattici per le scuole di ogni ordine e grado, al fine di implementare politiche di sostegno nei confronti delle persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) le polemiche si sono sempre più intensificate fino ad inasprirsi e a degenerare in veri e propri scontri ideologici tra fazioni, piuttosto che divenire l’occasione di un confronto fra ragioni.

Da una parte gli eterosessuali e i sostenitori della famiglia “tradizionale”, quella cioè costituita da una mamma e un da un papà, hanno parlato di un vero e proprio programma di “inculturazione” LGBT, e dall’altra parte gli omosessuali, che definiscono la società italiana omofoba e fondata in tutti i campi su prospettive e visioni “eteronormative” cioè tendenti a considerare l’eterosessualità, la condizione normale della sessualità umana e, quindi, a discriminare quanti sono di diverso orientamento sessuale.

Nel tentativo di fare chiarezza e sensibilizzare l’opinione pubblica e le scuole del nostro territorio alla riflessione su un tema, in questo momento congiunturale particolarmente “caldo”, come quello dell’educazione di genere, richiamiamo alcuni riferimenti normativi della legge 107, valutando quali implicazioni pedagogiche essa possa avere in una scuola, in cui l’educazione e la formazione dei giovani non può e non deve ridursi in alcun senso ad indottrinamento ideologico, una scuola in cui la libertà di pensiero va sempre coniugata tout court con il rispetto della persona, della sua unicità ed irripetibilità, e con il riconoscimento dei suoi diritti. Nelle scuole di ogni ordine e grado, che sono le istituzioni deputate alla formazione dei giovani, si devono combattere gli estremismi, gli stereotipi e le ideologie, che leggono la realtà multiforme e differenziata riducendola ad un paradigma monolitico e ad un “pensiero unico”.

Allo stesso tempo siamo tutti chiamati a confrontarci con rispetto con il nuovo panorama sociale alla luce dei nuovi cambiamenti introdotti dalla “pluralizzazione del modello familiare” e dalle nuove forme di “famiglia”, ma non possiamo certamente limitarci a mere “registrazioni” sociali quanto piuttosto occorre che ci sentiamo interpellati di fronte ai rischi e ai pericoli che si nascondono dietro le nuove sfide del terzo millennio: la fine della valenza biologica della sessualità umana e l’eclissamento della genitorialità biologica.

In un momento congiunturale come il nostro, in cui le pagine dei giornali hanno portato alla ribalta riflessioni diverse dai toni più o meno aspri sulla cultura di gender, non si può disconoscere come si siano innescate derive estremiste dell’ideologia del “gender” che divulgano una moda culturale nuova, quella che dissocia il sesso dal genere, sostenendo che la distinzione sessuale tra uomini e donne non esiste per natura ma è un’invenzione storica e sociale.

In altri termini, secondo quest’impostazione la differenza tra uomini e donne sarebbe solo culturale e la percezione del proprio sesso sarebbe solo indotta da variabili culturali e sociali come l’educazione familiare, la società, la cultura stessa. Si riapre, dunque, fra gli operatori scolastici e dietro i banchi di scuola la vexata quaestio: “uomini” e “donne” si nasce o si diventa, tanto per parafrasare un noto aforisma, che Simone de Beauvoir, declinandolo al femminile, riportava nel saggio intitolato, nell’edizione italiana, “Il secondo sesso”.

Mi sembra indiscutibile rilevare che l’ideologia del Gender cada in errore quando pretende di negare in senso assoluto l’esistenza ontologica della natura sessuata del genere umano, cioè la differenza sessuale tra uomini e donne, che è innanzitutto una differenza inscritta nella struttura genetica del corpo giocoforza sessuato. In natura non esistono altri sessi se non quello maschile e femminile; i casi rari di intersessualità, in cui l’identità sessuata è incerta, per la presenza di genitali esterni ambigui o discordanti da cromosomi e gonadi (ovaie e testicoli), sono riconosciuti, in modo convergente, dagli esperti della scienza medica come veri e propri “disordini” della differenziazione sessuale.

E’ innegabile che da un lato vi sia una componente ambientale che influisce sulla maturazione dell’identità di genere, ma appare altresì legittimo riconoscere inevitabilmente che, dall’altro lato, anche la corporeità sessuata contribuisca a determinarla e non solo per ciò che riguarda la diversità anatomico-biologica dei due sessi (i caratteri primari e secondari degli organi sessuali) ma anche per tanti altri aspetti, come ad esempio il cervello, gli ormoni, lo sviluppo cognitivo, sociale e comportamentale e persino il carattere. Come ci spiega la neuropsichiatra statunitense, Louann Brizendine, nel suo saggio intitolato “Il cervello delle donne”, saggio definito da Daniel Goleman “un libro utile per le donne e indispensabile per gli uomini”, un cervello unisex non esiste. Gli ormoni, in altri termini, influenzano il comportamento sociale e anche i ruoli che rivestiamo, insomma la nostra identità personale nella sua interezza e non solo la dimensione sessuale.

Ora, prima di entrare nei nodi focali della questione ci pare opportuno richiamare quanto stabilito dalla legge 107, che, al comma 16, così recita: «Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’art. 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013».

E’ evidente che lo spirito della normativa succitata si muove per recepire anche quanto è stato già indicato dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, nota come Convenzione di Istanbul, sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, e ratificato dal Senato italiano, il 19 giugno 2013, in seguito all’approvazione unanime alla Camera dei deputati.

Ora, l’impostazione della legge è pienamente condivisibile, laddove si propone l’obiettivo di contrastare ogni forma di violenza, in particolare la violenza sessuale e le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale o all’identità di genere, poiché ha come fine la tutela e il rispetto della persona e della sua dignità, che presiede ad ogni specificità o differenza individuale e che va salvaguardata in quanto tale. Non sarebbe, invece, altrettanto condivisibile laddove con frettolosità e ambiguità di interventi il legislatore lasciasse che si introducessero obiettivi educativi, per le scuole di ogni ordine e grado, strettamente vincolati all’ideologia del Gender.

Infatti, è necessario che si faccia differenza fra la teoria del Gender e l’ideologia del Gender, poiché la prima differentemente dalla seconda, punta sul fatto che la differenza naturale tra i due sessi si può tradurre, come è stato storicamente, in una vera e propria discriminazione sociale, in cui la stereotipizzazione rigida dei ruoli sessuali ha determinato una forte limitazione delle pari opportunità fra individui di sesso differente.

La teoria del Gender molto opportunamente focalizza l’attenzione sulla costruzione culturale e sociale della differenza sessuale, mettendo in evidenza che laddove emerge una percezione stereotipica dei ruoli maschili e femminili, si determinano forti e gravi discriminazioni sociali sulla base del sesso.

E’ noto come per tradizione culturale, in molti Paesi, questo problema riguardi soprattutto la donna il cui ruolo principale è stato relegato allo spazio privato dell’oikos (della casa) contrapposto a quello più forte dell’uomo, che è sempre stato lo spazio pubblico, cioè lo spazio politico (la polis) A partire da questo modello stereotipico della casa, si sono poste le fondamenta di una dicotomia uomo-donna, che si è resa storicamente visibile in quella marcata contrapposizione fra i due sessi entro i confini di una logica binaria fondata sulle seguenti opposizioni: positivo/negativo, razionale/irrazionale, intellettuale/sentimentale, logos/pathos e così via.

In questa direzione, ciò che la teoria del Gender suggerisce di massima importanza è il divieto di identificare la “sostanza” dell’essere donna con la sola maternità cioè di effettuare quella riduzione/identificazione del femminile al materno che si inscrive, in questo senso, nei codici patriarcali e maschilisti come ruolo fisso e stereotipato della donna in quanto tale, relegando il sesso femminile ai lavori di cura domestica e di accudimento della prole. La maternità infatti, oltre ad essere una potenzialità biologica della donna, è innanzitutto un dono, ma anche una scelta e un compito che richiede disponibilità ad accogliere l’altro e soprattutto un grande sacrificio di sé.

Ora, la teoria del Gender diviene ideologia in senso proprio quando punta ad una vera e propria mutazione antropologica ossia quando produce un individuo senza identità, unisex, asessuato, sulla base della presunta negazione dell’esistenza di una natura umana sessuata, omettendo il fatto che il genere umano, così come la maggior parte delle altre specie viventi, eccetto ovviamente alcune, esiste e si riproduce attraverso la differenza sessuata e sessuale che è inscritta per natura nel patrimonio genetico di ogni individuo.

Ciò che l’ideologia del Gender rischia di perdere è il dato ontologico della differenza sessuale che è la differenza tra i due sessi, maschile e femminile, riducendone la stessa differenza ora ad un’ “invenzione” della scienza, ora ad un’”invenzione” della cultura. In questa direzione appare significativo richiamare le suggestive parole della filosofa italiana Adriana Cavarero, nota studiosa della teoria della differenza sessuale, che descrivono l’evento singolare della nascita, un evento che consegna all’esistenza esseri umani sessuati cioè incarnati in tutto lo splendore della loro differenza.

L’ideologia del Gender risponde ad un progetto scriteriato che non ha niente a che vedere con quanto riguarda la tutela dei diritti e delle differenze e il sostegno alla lotta contro le discriminazioni, anche quelle perpetuate sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere, appunto perché tale ideologia tende a rimuovere le differenze riducendo l’individuo umano ad un atomo indifferenziato, un individuo lasciato solo di fronte all’unico potere oggi in grado di manipolarlo totalmente: l’ingegneria biotecnologica.

 

* docente di Filosofia ed esperta di bioetica