“Ragazzi, non interrompete mai il cammino contro la mafia”

Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato, ci parla del suo ultimo libro: “Cento passi ancora”

MONREALE, 16 febbraio – “Impegnarsi sempre e non interrompere mai il cammino contro la mafia”. Un messaggio semplice, ma al tempo stesso molto forte. Il messaggio lanciato, ancora una volta, da Salvo Vitale, amico di Peppino Impastato ed autore del libero “Cento passi ancora”.

Vitale, che come tiene a sottolineare, ha combattuto 24 anni di lotte per fare emergere la verità su Impastato, è venuto oggi a Monreale, su invito di Mirella Fedele, insegnante di Storia e Filosofia del liceo scientifico “Emanuele Basile di Monreale, e consulente del sindaco peri Beni Culturali. Occasione è stato il primo incontro de “La Nottola di Minerva” del quale daremo conto in un successivo articolo.

La sua è una testimonianza vivente di un uomo, solcato dagli anni, ma di certo non invecchiato nello spirito e nella sua voglia di non arrendersi al giogo mafioso.

Il suo ultimo libro “Cento passi ancora”, una sorta di “sequel” di “Peppino Impastato, una vita contro la mafia” l’opera dalle cui pagine è stato tratto il film “I cento passi”, è di per sé un messaggio. Quello secondo il quale la lotta contro Cosa Nostra va combattuta sempre e di fronte alla quale non ci si deve fermare.

Una fatica letteraria che Vitale ci sintetizza e che narra delle peripezie condotte dagli amici di Impastato “un gruppo coeso e determinato – ci dice Vitale – che seppe sostituirsi ai carabinieri ed alla magistratura”, per indagare sulle reali cause della morte dell’eroe antimafia di Cinisi, eliminato, come poi hanno dimostrato i processi, per volere di don Tano Badalamenti.

Una morte, però, che faticò non poco ad essere ricostruita ed attribuita al mafioso deceduto in America nel 2004 e che, in un primo tempo, era stata addirittura derubricata come suicidio di un terrorista o comunque di un balordo.

Il libro parla delle peripezie delle indagini che portarono lentamente prima Rocco Chinnici, poi Giovanni Falcone, quindi Ignazio De Francisci a ricostruire faticosamente il quadro della vicenda Impastato, che stava per essere attribuita pure ai corleonesi (era il periodo nel quale addossare tutto al clan di Corleone era facile e frequente).

Ci vollero le dichiarazioni di ben otto pentiti per far sì che si potesse aprire un processo istruito da Franca Imbergamo, a carico di Tano Badalamenti. Il processo, durato quattro anni, come è noto, si concluse con l’ergastolo per lo stesso Badalamenti e trent’anni per il mafioso Palazzolo. Una vittoria su tutta la linea, dunque, per l’immagine finalmente riabilitata di Peppino Impastato, con la condanna per gli autori della sua eliminazione. Una riabilitazione voluta fino alla fine da donna Felicia, mamma di Peppino.

E proprio questa conclusione, non con la morte del protagonista, ma con la condanna dei mandanti della sua uccisione è ciò che ispira il titolo e soprattutto la voglia e l’obbligo di non fermarsi nel combattere la mafia di compiere: cento passi ancora.