Antonio Veneziano, il Petrarca di Sicilia

Profilo di uno dei monrealesi passati alla storia

MONREALE, 2 dicembre – E' noto come il "Petrarca di Sicilia". Antonio Veneziano, nato nel cuore della Monreale antica, il 7 gennaio del 1543, autore del poema "Celia", è uno dei grandi personaggi siciliani a lungo trascurati, se non addirittura ignorati, dai programmi scolastici nazionali.

Nei secoli scorsi, si era sparsa la leggenda che la famiglia Veneziano si fosse trapiantata a Monreale giungendovi da Venezia, città da cui avrebbe tratto il soprannome, poi trasformatosi in cognome. Ma alcuni documenti attestano che la famiglia del poeta vernacolare era presente a Monreale, fin dal 1492.

Il padre, omonimo, fu influente patrizio monrealese, per status e per cultura. Ebbe incarichi di prestigio e una vita sentimentale movimentata, con tre matrimoni e due figlie naturali, oltre ai nove legittimi.

Il contesto familiare e sociale in cui nacque il Veneziano, fu battezzato dal vicario del cardinale Alessandro Farnese, influenzò la sua personalità artistica e il carattere ribelle.

La sua vita trascorse fra continue liti giudiziarie, contese patrimoniali ed esili da Monreale che riconobbe in lui, ancora vivente, una figura di spicco.

Ad esempio, il cardinale Ludovico Torres I, dopo aver ordinato la traslazione dei resti mortali di re Guglielmo II nel transetto destro del duomo, dove si trovano ancora, gli affidò il compito di comporre le due epigrafi sui lati dell'arca funebre.

Dal punto di vista letterario, la svolta è da ricercare nel 1578, quando, imbarcatosi alla volta della Spagna, cadde in mano ai corsari saraceni che lo tennero prigioniero ad Algeri per due anni. Qui incontrò un altro genio letterario: Miguel de Cervantes, autore del "Don Chisciotte", con cui imbastì un sodalizio letterario. Nella cattività africana scrisse "Celia", in versi siciliani, dedicato alla donna amata, "Nenia" ed "Agonia".

Secondo le cronache del tempo, il Senato palermitano pagò un riscatto per la libertà del poeta. Tornato a casa la sua vita riprese i ritmi turbolenti di sempre, fino al 1593 quando il carcere di Castellammare, dove il Nostro si trovava imprigionato, esplose, ponendo fine alla sua travagliata esistenza.