Mistu o tetù, altrimenti detti anche Catalani

 

"Armi santi, Armi santi, io sugnu unu e vuatri siti tanti..."

La "festa dei morti", ovvero la ricorrenza che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti il 2 novembre, è molto sentita in tutta la Sicilia ed il primo di novembre, giorno di Ognissanti, era ribattezzata "i morti ri picciriddi".

La tradizione vuole che proprio in quel giorno i defunti come segno del loro passaggio tra i vivi lascino in dono ai bambini oltre che giocattoli vari anche dolci, caramelle ed il tradizionale cesto di Frutta Martorana. Quello era, e rimane, un'occasione per ricordare i defunti e per sentire più vicini e sempre presenti i propri cari scomparsi. Un modo per sdrammatizzare ed esorcizzare la morte. Era il retaggio di una tradizione antichissima pre-cristiana, che serviva a ingraziarsi le anime dei defunti.
Ma quali sono le origini di tale festività?

La festa ha origini antiche, che uniscono paesi lontani per epoche e distanze. Civiltà antichissime già celebravano la festa degli antenati o dei defunti in un periodo che cadeva proprio tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre. Questa data sembra riferirsi al periodo del grande Diluvio, di cui parla la Genesi. Quello per cui Noè costruì l'arca che, secondo il racconto di Mosè, cadde nel "diciassettesimo giorno del secondo mese", che corrisponderebbe al nostro novembre.

La Festa dei Morti nacque dunque in "onore" di persone che Dio stesso aveva annientato, col fine di esorcizzare la paura di nuovi eventi simili. Da qui in poi, la storia, che è ovviamente sospesa tra religione e leggenda, diventa più chiara. Il rito della commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche e ai culti: dall'antica Roma, alle civiltà celtiche, fino al Messico e alla Cina, è un proliferare di riti, dove il comune denominatore è consolare le anime dei defunti, perché siano propizie per i vivi.

In alcune zone della Lombardia, la notte tra l'1 e il 2 novembre si suole ancora mettere in cucina un vaso di acqua fresca perché i morti possano dissetarsi. In Friuli si lascia un lume acceso, un secchio d'acqua e un po' di pane. Nel Veneto, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto con dentro fave in pasta frolla colorata, i cosiddetti "Ossi da Morti". In Trentino le campane suonano per molte ore a chiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare alle finestre. Per questo, anche qui, la tavola si lascia apparecchiata e il focolare resta acceso durante la notte. Anche in Piemonte e in Val D'Aosta le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero. I valdostani credono che dimenticare questa abitudine significhi provocare tra le anime un fragoroso tzarivàri (baccano).

In Liguria la tradizione vuole che il giorno dei morti si preparino i "bacilli" (fave secche) e i "balletti" (castagne bollite). Tanti anni fa, alla vigilia del giorno dedicato ai morti i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il "ben dei morti" (fave, castagne e fichi secchi), poi dicevano le preghiere e i nonni raccontavano storie e leggende paurose. A Roma la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si consumasse il pasto accanto alla tomba di un parente per tenergli compagnia. Altra tradizione romana era una suggestiva cerimonia di suffragio per le anime che avevano trovato la morte nel Tevere. Al calar della sera si andava sulle sponde del fiume al lume delle torce e si celebrava il rito.

In Sicilia, il 2 novembre è una festa che ha un origine e un significato che si collegano certamente al banchetto funebre, di cui si ha ancora un ricordo nel "consulu siciliano" (pranzo che i vicini di casa offrivano, dopo che il defunto era stato tumulato, ai parenti afflitti ) e ad antichi culti pagani. Ancora oggi, si narra ai bambini che, la notte tra l'1 e il 2 Novembre, i familiari defunti si risveglino per portar loro doni e giocattoli (cosi ri' morti) e con tale intento si tramanda ai piccoli una preghiera propiziatoria, affinchè arrivino piu' regali:
"Armi santi, Armi santi, io sugnu unu e vuatri siti tanti, mentri sugnu 'ntra stu munnu ri guai, cosi ri morti...mittitiminni assai".

Si è soliti preparare 'u cannistru" (il canestro), cioè un cesto abbastanza grande, quasi sempre tramandato da generazione in generazione, pieno di "scacciù", miscuglio di frutta secca composta da "calia" (ceci tostati), "simienza" (semi di zucca essiccati),"nuciddi atturrati" (nocciole tostate), "cruzziteddi" (castagne secche), "favi atturrati" (fave tostate), "murtidda" (mirto nero), "anasini" (biscottini all'anice), "ossa ri muortu" (dolcini di "pasta di miele" ricoperti di glassa bianca, duri come ossa), "frutta di martorana" (per coloro che vorranno cimentarsi segnaliamo la ricetta "la martorana" , nella nostra rubrica di cucina siciliana), cannellini, bomboloni, 'a pupaccena o pupu ri zuccaru" (bambole di zucchero che ripropongono personaggi della Chanson de Roland, (presente tra le pagine della nostra rubrica di cucina siciliana) e "ù mistu o tetù", altrimenti detti anche Catalani (biscotti fatti di rimasugli di dolci impastati una seconda volta, bianchi e marroni, per la velatura di zucchero o di cacao).

I misti sono biscotti morbidissimi e profumati che generalmente si trovano solo nei panifici e pasticcerie isolane ma che a volte vengono ancora preparate nelle cucine delle case dove c'è ancora qualche nonna. Il nome deriva proprio dalla natura dei biscotti che contengono all'interno un misto di tanti prodotti dolciari, a base di mandorle, con l'aggiunta di qualche candito o granella di frutta secca e ricoperti di glassa. La loro storia, come quella della maggior parte dei dolci siciliani, nasce dalle cucine dei conventi delle monache di clausura rinchiuse nei numerosi conventi, che venivano ordinati e venduti al pubblico attraverso l'apposita ruota incastrata nel muro. I dolcetti devono essere ricoperti da due tipi di glasse diverse, che ne contraddistinguono anche il nome: "tetù" per quelli ricoperti di glassa al cacao e "teio" per quelli ricoperti di glassa allo zucchero.

Ingredienti: 500 gr di farina 00, un pizzico di bicarbonato, 1 uovo, un pizzico di sale, 150 gr zucchero semolato, vaniglia, 150 gr di strutto, 150 gr mandorle pelate e tritate finemente, latte q.b.

Ingredienti per la glassa: 250 gr zucchero a velo, 2 albumi, 2 cucchiai e mezzo di cacao amaro

 

Preparazione

Dopo aver setacciato la farina con un pizzico di bicarbonato, unire gli altri ingredienti e amalgamarli incorporando, poco per volta, il latte necessario per ottenere un composto sufficientemente morbido. A questo punto ricavare delle palline e posizionarle su una teglia imburrata o foderata di carta da forno. Mettere in forno preriscaldato a 180° per circa trenta minuti.

Per la glassa: in una ciotola battere gli albumi e unirli allo zucchero a velo setacciandolo. Mescolare energicamente con una frusta per una decina di minuti finché si otterrà una crema densa e senza grumi. A piacimento è possibile unire il cacao e amalgamare ancora per qualche minuto.

Sfornare i biscotti, farli intiepidire, spennellarli con la glassa preparata in precedenza e rimettere in forno a 150° per altri cinque minuti.