A Cubbàita

"Conveniunt rebus nomina saepe suistene, verba sequentur"

Tanti ricordi, il desiderio di stare insieme e la voglia di tornar bambini…è il momento della Cubbàita!

 Si tratta di un dolce dai pochi, pochissimi ingredienti. La tradizione, infatti lo vuole composto da zucchero, miele, semi di sesamo e mandorle.

Come recitava Richardus Venusinus : "spesso i nomi sono appropriati alle cose/persone cui appartengono".

Il nome è sicuramente di origine araba, ma, tanto per cambiare, in Sicilia è un dolce conosciuto in vari modi: Cubbàita, Cubaita, Cubarda, Cicilena, Ciuciulena o Giuggiulena. In realtà, in dialetto siciliano, per giuggiulena si intendono più propriamente i semi di sesamo, ma poi il significato è stato allargato fino a comprendere anche questo croccante che si prepara per le feste natalizie. Entrambe le definizioni, però, possono essere ricondotte a termini arabi, la prima deriva dalla parola “qubbajt” ovvero mandorlato, la seconda da giolgiolan o giulgiulan che significa sesamo...ed i palermitani, il sesamo lo metterebbero ovunque!

Anticamente era uno dei dolci che piu' profumavano l'aria delle feste natalizie...

La sua particolarità era l’assenza di zucchero, non per scelta ma per necessità e per due ragioni: lo zucchero era un ingrediente che potevano permettersi in pochi; il miele, per il suo elevato potere dolcificante, poteva essere usato in quantità ridotte e, allo stesso tempo, in virtù delle sue proprietà, garantiva alla preparazione la giusta vischiosità ed un aroma inconfondibile. La tipologia di miele piu' usata era quello di timo, conosciuto ed apprezzato sin dall'antichità ed elogiato nei frammenti poetici di Virgilio, Ovidio, Teocrito o quello di zagara (fiori dei nostri agrumi)!
Ma era il rituale, il momento più bello e significativo di questo dolce. In attesa dell’evento i bambini 'a ginucchiuna n'capu i sieggie scacciavanu i mennuli ((in ginocchio sulle sedie rompevano le mandorle), mentre i grandi si destreggiavano tra gli attrezzi di lavoro: quarara, balata ri marmu e limiuna. La quarara è il nome dialettale della pentola in rame, largamente usata per queste particolari preparazioni; la balata ri marmu è il ripiano (in marmo) sul quale si spiana e si fa raffreddare il dolce; i limiuna (limoni) tagliati in due parti, l'attrezzo fornito da madre natura che sostituiva la moderna spatola, usato per "livellare" la cubbàita.

Ovunque, in casa ma anche per le vie della città , quei profumi si avvertivano in modo assai sottolineato....

A tal proposito, incancellabili dalla mia memoria, sono proprio gli odori che si avvertivano passeggiando al ‘Foro Italico’, in occasione delle festività: profumi di gelsomino e pomelie (vendute confezionate opportunamente su di una stecca), misti a quelli dello zucchero filato e dell’immancabile cubbàita che i "turrunari", quei fantastici artigiani, preparavano direttamente sul posto. Era il classico odore delle feste che oggi, anche per ritrovate motivazione igieniche, raramente possiamo sentire.

Fra i miei ricordi, oltre agli odori, trova posto anche il come veniva servita la cubbàita: su un foglietto di carta oleata che avvolgeva questa golosità, trasformandola in un  “dono”. Questa particolarissima confezione, inoltre, ha dato origine al detto ‘scrusciu ri carta e cubbàita nienti’, ovvero “molta carta e poco dolce”...e questo perchè gli ambulanti, di anno in anno, pur mantenendo invariato il prezzo, accorciavano la porzione suscitando, ovviamente, qualche lamentela.

Con un pò di fantasia, qualcuno collega il dolce al Mylloi greco antico: dolce a base di miele e sesamo, dalla forma di sesso femminile, che, secondo la descrizione che ne fa Eraclide Siracusano, si preparava in Sicilia durante le Tesmoforie, ossia le feste in onore della dea delle messi Demetra.

Del misterioso richiamo della Cubbàita scrive anche Andrea Camilleri, nel suo Elogio : “…Amo la cubaita che “ci vuole il martello a romperla”, come scrive Sciascia. A fatica riesci coi denti a staccarne un pezzetto e non lo devi aggredire subito, lo devi lasciare ad ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato.
La cubaita ti obbliga a una sua particolare concezione del tempo, ha bisogno dei tempi lunghi del viaggio per mare o per treno, non si concilia con l’aereo, con la fretta...Ti invita alla meditazione ruminante. Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole. Ora, vecchio, mi viene assai difficile mangiare la cubaita. Mi consolo scartandola per offrirla agli amici. Ma la carta me la tengo in tasca. Ogni tanto la tiro fuori e l'odoro. E quell'odore, con l'aiuto della memoria, mi restituisce il sapore impareggiabile della cubaita. ”

Realizzare in casa questo dolce è un gioco da ragazzi...e sgranocchiarlo in compagnia è ancor piu' divertente...Così come per la petrafennula (dolce analogo alla cubbàita ma con l'aggiunta di confetti colorati), infatti, è impossibile gustare queste leccornie senza ridere delle facce buffe e dell'imbarazzo di coloro che fisiologicamente, addentando il croccante, infestano l'aria circostante di un sonoro simile a quello che emana un cagnolino alle prese con il suo osso...

Buona “rosicchiata” a tutti quindi e...


Ingredienti: 250 grammi di sesamo, 100 grammi di mandorle sgusciate, 250 grammi di zucchero semolato, 60 grammi di miele di zagara, un'arancia, pochi grammi di cannella in polvere, olio di semi (per oleare il piano di lavorazione) ed eventualmente...1 limone (?).


Preaparazione

 

In un tegame (oppure una padella antiaderente) mettete lo zucchero ed il miele e lasciate sciogliere fino a quando non avrete più grumi e il composto risulterà liquido e dorato (attenti a non farlo bruciare). Spegnete la fiamma e aggiungete i semi di sesamo, le mandorle, la buccia tritata dell'arancia, la cannella in polvere e mescolate bene.

Versate il tutto su un piano, l’ideale sarebbe di marmo leggermente unto, ma se non ne siete in possesso, utilizzate un foglio di carta forno, posizionato possibilmente sopra una tavola di legno. Per stendere la cubbàita potete usare una spatola unta leggermente d'olio, oppure, ricoprendelo con un altro foglio di carta forno, spianarlo con un matterello. Quest'ultimo, come riportano in molte ricette tradizionali, può essere sostituito da un limone tagliato a metà, infilzato da una forchetta dalla parte della buccia e strofinato con forza sulla superficie del composto, così facendo darete aroma e luciderete maggiormente la superficie.

Per lo spessore, calcolate tra i 5 mm e 1 cm massimo.

Una volta freddo, tagliare il dolce in pezzi. La tradizione li vorrebbe romboidali... ma " non complichiamoci la vita" . Durante questa fase, però,  fate attenzione, la cubbàita risulterà piuttosto dura, ance se, per esperienza personale, vi anticipo che non serviranno grandi coltellacci! Basterà, infatti, appoggiare sul dolce la lama sottile di un normalissimo coltello e, con l'aiuto di un batticarne, divertirvi a...romperlo!

...attenzione ai denti!