Mussu, masciddaru e carcagnuolu

"Avanzi ri parrari...stuiamunni 'u mussu"

Mussu, masciddaru e carcagnuolu sono parti integranti dello sterminato e antico mondo del mangiare da strada palermitano.
Un pianeta senza confini di prelibatezze, pilastro portante della nostra gastronomia. Prima bontà fra tutte, la quarume: «Brodo e pietanza»; così era definito il piatto. Un'idea di conforto, di inverni umidi e freddi, di viandanti che mitigavano il disagio del clima con una sosta davvero ristoratrice, energetica e tonificante.

Insomma, "grazia di Dio", e la quarume è un piccolo "parlamento" nel quale sono rappresentati proporzionalmente tutti i partiti che lo formano. Ci sono i sostenitori dello ziniere o zinienu, quelli della ventra, quelli del centopelle...Tutte parti diverse delle viscere del vitello che il quarumaro conquista ai macelli non senza fatica né discordie. Naturalmente, però, chi vende quarume, quasi sempre vende anche musso, masciddaru e carcagnuolu, cioè le parti del vitello che comprendono la testa, le mammelle, la lingua, gli occhi, le orecchie. Poi ci sono i piedi che si dividono in frontali e posteriori (calcagno - carcagnuolu). I primi si tagliano a pezzi, i secondi s'arrusicano (si rosicchiano) a stricasale secondo un rituale ormai codificato e, in ultimo,... quello. Sì, esatto, proprio quello, il simbolo dei simboli che, senza tanti preamboli né tepidezze, si definisce sic et simpliciter, nerbo.

'O père e 'o mussu, o mussu 'e puorcu, piatto tipico palermitano che in italiano significa letteralmente: il piede e il muso. Un piatto che trae origine da una tradizione popolare, fatta da gente che non buttava via nulla. Frattaglie scartate dai nobili ed elevate al rango di "carne" dal popolo. Un tipico cibo da strada che affonda le sue origini nella tradizione degli antichi greci di vendere cibi cotti nelle Agorà e giunge fino ai nostri giorni come cibo della cucina dei poveri, di chi non poteva permettersi una bistecca e doveva accontentarsi delle parti meno nobili dell'animale. Sono le parti di scarto, sono le cartilagini.... Una pietanza poverissima, un antipasto da "carrettiere" (secondo alcuni), un tempo servito nelle osterie o taverne rionali insieme a un calice di vino ma che recentemente, e per fortuna, ritroviamo nei menù dei migliori ristoranti della nostra città, considerato una leccornia irrinunciabile.

Li troviamo già pronti nelle bancarelle del quarumaru dove possono essere consumati sul posto secondo un rituale ben noto a tutti: tagliati a piccoli pezzi, conditi con abbondante sale e limone, gustati "a stricasale"; oppure portati a casa avvolti nel classico "coppu" di carta oleata. Ma si trovano comunemente anche nelle macellerie già lessati, tagliati e pronti per essere conditi, oppure già in insalata con l'aggiunta di cipolla rossa, olive (bianche o nere), sedano, carote, olio, aceto di vino bianco e pepe nero.

Il musso, inoltre, tanto quanto altri alimenti della tradizione siciliana, presta il fianco a diverse metafore e modi di dire popolari, richiamati anche nella nostra rubrica "Tradizioni". Così, potremo sentir dire "stricaricci 'u mussu comu 'a 'atta" (strofinare il muso come si fa col gatto) oppure "avanzi ri parrari stuiamunni u mussu", ad indicare l'inopportunità e la scorrettezza del parlare (male) degli altri, o ancora "ti poi stuiari 'u mussu cu 'na pezza 'i lana" (Non potere avere o godere di qualcosa perchè terminata o esaurita).

In ultimo due curiosità, piccoli cenni storici e antropologici richiamati dal piatto:

 - i "masciddari" (dal siciliano mascidda, "mascella") sono anche le sponde fisse, montate parallelamente sul carretto siciliano;

- "u nèrbu di vitèddu", si trattava di una vera e propria arma di difesa-offesa costituita dal prolungamento interno del pene di vitello che essiccato, attorcigliato e "trattato a sale" diventava un micidiale frustino. "'U nerbu" era, all'epoca, spesso usato in diverse famiglie, quale metodo punitivo; addirittura questo arnese veniva posto, sovente, in bella vista - appeso al muro - quale deterrente volto a scoraggiare sul nascere azioni poco gradite.  

 Mussu, masciddaru e carcagnuolu: mangiatene pure,senza farvi troppe domande però, e soprattutto seguite il consiglio lanciato dai veri intenditori del piatto:

 "U masciddaru si mancia cu tri ghirita (pollice,indice e medio) picchì l'avutri ann'asserbiri p'arrasparivi a testa".