Rascatura

 

"Picchì? chi è lunedì stairnata?"

La cucina come metafora della vita, le cui tappe (ognuna con i relativi "sapori) a secondo del momento, sono scandite ora da pranzi opulenti ora da dimenticati cibi da strada.

Ma, quanto è profondo il barile italiano? Ritrovarmi intrisa di un vago torpore o disincanto - dipende dal punto di vista - credevo fosse conseguenza della fisiologica "crescita anagrafica". Infervorarsi sempre meno alla lettura di certe notizie, digerirle più facilmente, avere tanti peli nello stomaco pur di non trattenerli sulla lingua, ritenevo fossero aspetti comportamentali determinati dalla "saggezza della seconda età".

Pensavo che oltre un certo limite non si potesse arrivare ed invece... eccomi a rimpiangere, e non solo metaforicamente, i dettati del "un, due, tre, stella", che, per chi non lo ricordasse, era un semplicissimo gioco di gruppo ma con una regola assai precisa: chi veniva colto in fallo tornava indietro, al punto di partenza.

"...Ahi, serva Italia, di dolore ostello,

nave senza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello..."

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio Canto VI, 76-78)

Dante Alighieri, ha anticipato di molto la considerazione che quando sembra si sia arrivati al fondo del barile... si debba continuare a scavare! Così, raschiando, raschiando, visto che il cibo è sovente utilizzato anche come espressione figurata di ciò che è buono e ciò che è cattivo, concentriamo il pensiero su una particolarissima preparazione gastronomica, confacente alla situazione politica del paese: la rascatura, in passato ritenuta "scarto" e oggi, invece, al cospetto di tanta tracotanza, rischia di apparire addirittura "nobile".

Dalla preparazione delle panelle e delle crocchè, scrostando con una paletta sia il fondo sia i bordi delle casseruole nelle quali veniva preparato l'impasto, si otteneva una nuova amalgama, costituita dalle due materie prime: patate e farina di ceci. Con questo composto si producevano le mitiche "crocchette di rascatura", dal gusto particolare e che, aspetto da non sottovalutare, per il loro basso costo erano accessibili anche a coloro che non potevano permettersi i prodotti primari della friggitoria. Va detto che la società dell'opulenza fa si che la rascatura vada via via scomparendo dalle friggitorie. Era, infatti,  il cibo di un'epoca in cui non si buttava via proprio nulla, un'epoca durante la quale anche il meno fortunato friggitore  (u' panellaru) poteva concedersi il lusso di offrire "aggratis" queste piccole squisitezze.

Nelle teglie in cui si era impastata la purea di patate per fare le "crocchè", rimaneva, ben accostato sugli angoli, qualche residuo che si asciugava col passare delle ore. Lo stesso avveniva nei contenitori utilizzati per cuocere la farina di ceci per le panelle e nelle formelle di legno, utilizzate per stamparle.

Questi "rimasugli", ovviamente, a fine giornata potevano anche essere di una certa quantità. Buttarli?  "Ma quannu mai"!  Così, la saggezza popolare dei panellari inventò l'ennesima bontà gastronomica. La parte raschiata veniva rimpastata manualmente per ricavarne delle (?). Nessuna paura, la rascatura, non potendo assomigliare né alle "crocchè" né alle "panelle", veniva magistralmente elaborata sotto forma di un prisma retto a base triangolare: struttura perfetta per reggere la frittura successiva e l'esposizione sul piano metallico "a latere" delle sorelle maggiori.

Tali prelibatezze, recentemente quasi introvabili, venivano vendute ad un prezzo irrisorio, notevolmente competitivo rispetto alle nobili componenti primarie, e questo probabilmente anche a causa del nome. Rascatura, infatti, razionalmente induce al pensiero di una paletta che "gratta" teglie o padelle, ma emotivamente spinge anche verso l'idea che trattasi di scarti di dubbia natura!

Originariamente gustate prive di altri ingredienti, le rascature vennero poi elaborate con l'aggiunta di cipolla tritata, prezzemolo e formaggio grattugiato. Roba da leccarsi i baffi!

Un ultimo particolare. Il giorno della settimana durante il quale era possibile gustare queste specialità era prevalentemente il Lunedì e questo, neanche a dirlo, grazie alla mole smisurata di impasto (di panelle e crocchè) che i panellari erano "costretti" a preparare per soddisfare i desideri culinari del fine settimana del palermitano. Ed a tal proposito, chiunque, avvicinandosi al panellaro in altro giorno della settimana, avesse chiesto "rascature?", avrebbe  sentito l'ironica battuta: "picchì chi è lunedì stairnata?"

La vera essenza della nostra Isola? difficile individuarla. Come moltissimi suoi abitanti: troppe contraddizioni, fortissimi contrasti. Misteriosa, indecifrabile, attrattiva, profumata, ma a volte pungente, respingente, scorpionica. "Bella e impossibile", forse la natura del suo fascino sta in questo, e nel profumo dei suoi piatti più particolori: ciavuru ri frittura mista!

"...Considerate la vostra semenza

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e conoscenza..."

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 118-120)

 

Ingredienti per 4 persone:250g di farina di ceci, 700g di acqua, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 cucchiaio di semi di anice, 1 piccola cipolla sale e pepe nero q.b..

 

PREPARAZIONE

Tritate molto finemente la cipolla e mettetela da parte in una ciotola. In un tegame versate l'acqua e, con un setaccio, fate cadere a pioggia la farina di ceci, mescolate con un cucchiaio di legno, facendo attenzione a non fare formare grumi.

Ponete il tegame sul fuoco, mantenendo la fiamma bassa, aggiungete un buon pizzico di sale e un generoso pizzico di pepe. Mescolate continuamente, in modo da non fare attaccare la farina al fondo del tegame. Cuocete per circa 30 minuti, fino a quando otterrete una crema compatta e morbida. A questo punto, aggiungete il prezzemolo tritato finemente, fatelo amalgamare bene all'impasto, levate dal fuoco e versate tutto in una ciotola, aggiungete la cipolla tritata finemente, i semi di anice e, aiutandovi con una spatola amalgamate bene lasciando poi raffreddare completamente l'impasto. Bagnatevi le mani, prendete un po' dell'impasto (il quantitativo di una grande noce ), lavoratelo con le mani e date la forma di una polpetta leggermente schiacciata. Proseguite così con tutto l'impasto a vostra disposizione.

Friggete in abbondante olio caldo e servitele con una spruzzata di sale.

  

"...Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che all'abito da tutti desiderato possano pervenire, e innumerabili quasi sono li 'mpediti che di questo cibo sempre vivono affamati. Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane delli angeli si manuca! e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo!..."

((Dante Alighieri, Convivio)