Lo sfincione:pane, amore e fantasia

"Scarsu r'ogghiu e chinu ri privulazzu, chistu è Sfinciuni ra bieadda vieru, chi ciavuru!"

Così recita pressappoco il "mantra" dello sfincionaro: "Chi ciavuru! Uora u sfurnavu, uora! Io u pitittu ci fazzu grapiri!Chistu è sfinciuni ra bieadda veru, chi ciavuru! Scarsu r'oghhiu e chinu ri privulazzo!"

Ogni terra narra bocconi di storia, ogni città si ancora alle proprie tradizioni e come per un napoletano la pizza è regina incontrastata, così per un palermitano l’odor di sfincionello risveglia anima e cuore. “Chi ciavuru!”, urlano i venditori esortando i passanti ad annusare l’aria invasa dal profumo inebriante dello sfincione appena sfornato. È sentimento, è morbidezza, è rassicurazione: muzzicari u sfinciuni allontana i pensieri e regala attimi di puro godimento.

Al pari della sfincia di San Giuseppe, il nome si fa derivare dal latino spongia, "spugna", proprio perché molto soffice.Come recita il detto: "e’ muoddu comu na sfincia". Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente cardine il pane pizza (morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna) con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, e pezzetti di formaggio tipico siciliano (caciocavallo).

Una delle ipotesi più accreditate è che la ricetta per lo sfincione sia stata ideata dalle suore del monastero di San Vito, nel bel mezzo di una Palermo saracena. Morbido come una sfincia (termine che deriva dal latino spongia ovvero spugna),ideale per la nostra proverbiale “lagnusìa”. Noi siciliani in genere siamo sufficientemente “lagnusi” (pigri), e lo siamo anche nel nutrirci: troppa fatica nel masticare una pizza croccante, le nostre mandibole apprezzano maggiormente una pasta morbidissima e soffice! L’unico che, in questo caso, dovrà realmente faticare è l’apparato digerente che impiegherà delle ore per favorirci la digestione. A noi toccherà soltanto sopportare il “sali e scendi” della cipolla & C..

Profumato di semplicità, si tratta, infatti di una pietanza povera eppure gustosissima. Anticamente, era la specialità gastronomica riservata alle vigilie delle festività più importanti, così come in occasione della conoscenza delle famiglie di due promessi sposi. Insomma, zitu e suoggeri rumpiànu u scaluni e u ciàvuru ri lu sfinciuni ci grapìa ‘a puorta.  

Recentemente, invece, lo sfincione, considerato sempre un master della ristorazione, è il trofeo gastronomico consumato in nome dell’allegria e della convivialità. Ogni scusa è buona per ammuccarisinni ‘nticchia e in più resta comunque un cibo a cui si ricorre facilmente quando arriva un’ospite inatteso. I panifici rionali lo sfornano quotidianamente, i venditori ambulanti lo propongono – in modo assai sonoro - da colazione a cena, sette giorni su sette, e le massaie si dilettano nel prepararlo tra le mura domestiche.

Lo sfincione per la sua genuinità e la sua fragranza inconfondibile si eleva sovrano fra la vasta schiera dei prodotti tipici locali. Farina, lievito, acqua, sugo di pomodoro, cipolle, acciughe, caciocavallo, origano e pangrattato, gli elementi essenziali per ottenere uno sfincione base. Esistono poi varianti per esaltare la fantasia: olive nere, carciofi…oppure, così come si prepara in quel di Bagheria, l’aggiunta di primo sale fresco e ricotta, rigorosamente cosparsi di mollica fresca e cipollotto.

Il prodotto più originale viene però prodotto artigianalmente nei pressi di Porta Sant’Agata, a Palermo, e commercializzato da ambulanti che spaziano per le vie della città a bordo di motoveicoli a tre ruote (conosciuti meglio come "lapini") e, sia per la sua forma che per la scarsezza degli ingredienti usati, è noto come “sfincionello”, scarsu r’uogghiu e chinu ri pruvulazzu! Per dovere di cronaca occorre precisare che, almeno originariamente, per “pruvulazzu” pare non si intendesse la comune polvere ma il pulviscolo di caciocavallo grattugiato, spolverato in superficie. Lo sfincionello da strada è proposto in tutte le manifestazioni, dalle processioni religiose ai mercatini, e su banchetti mobili si sposta seguendo l’onda di folla.

Lo sfincione…evergreen della gastronomia siciliana. Il suo "segreto"? Pane, amore e fantasia: tre elementi indispensabili, tanto a tavola quanto nella vita di ciascuno di noi!

 

Ingredienti per 4 persone (o una teglia grande): 300g di pasta di pane, 1,5 kg di cipolle bionde, 800g polpa di pomodoro, olio q.b., un cucchiaio di zucchero, un cucchiaino di sale, filetti di acciughe sott'olio, caciocavallo, pangrattato, origano. 

PREPARAZIONE

Foderate una leccarda con carta da forno e stendete la pasta di pane, coprite con un panno e fate lievitare per il tempo della preparazione del condimento.

Mettete le cipolle tagliate a fette sottili in una pentola con acqua fino a coprire e fate stufare a fuoco medio fino a quando l'acqua non diventa verdognola. A quel punto scolate e ripetete l'operazione ancora una volta. Questa operazione renderà il condimento più digeribile. Aggiungete alle cipolle due cucchiai di olio e fatele rosolare per un paio  di minuti.  Unite poi la polpa di pomodoro e condite con sale e zucchero, e fate cuocere per almeno 2 ore o fino a quando non si sia ritirato un po' il sugo.

Preriscaldate il forno a 220°.

Riprendete la leccarda e distribuite sulla pasta di pane le acciughe spezzettate e il caciocavallo a tocchetti. Coprite bene con il condimento fino a formare uno strato di circa un centimetro. Spolverate con una buona manciata di pangrattato e origano e cospargete di olio d'oliva.

Infornate per circa 20/25 minuti fino a quando sollevando la pasta con una forchetta il fondo non risulterà croccante a quel punto, se riuscirete a resistere, fate raffreddare 10 minuti, prima di servire.