Sarde allinguate

"Accussi va 'a vita: cu sinni futti e cu si licca a sairda"

La cucina palermitana, lo sappiamo in tanti, è assai tipica e particolare: lo sposalizio ideale tra stili e sapori provenienti da differenti culture. Una cucina nella quale trionfa perfettamente anche l’incontro tra odori e sapori apparentemente opposti.

E' una cucina elaborata, spesso per necessità, anche dal povero il quale, con grande fantasia, ha saputo accoppiare, sostituire e sfruttare  gli unici alimenti a disposizione delle sue tasche (sovente vuote). L'impossibilità materiale di reperire gli  alimenti nobili utilizzati dai Monsù all'interno delle corti, così, ha generato creatività e nuove pietanze assai ricercate. Una cucina, quella siciliana in genere, che è sommatoria di svariati additivi utilizzati, inoltre, per camuffare cibi di non pregevole qualità. Una cucina arricchita anche dell'eleganza e della raffinatezza dei cuochi francesi e dalla essenzialità dei prodotti e dell'alte gastronomica coltivata all'interno dei monasteri e intorno ai focolari domestici delle famiglie meno abbienti.

Il popolino, pur in gravi condizioni economiche doveva pur riempir la pancia e sfamarsi con gli unici prodotti reperibili alle loro scarse possibilità economiche. Ciò che potevano permettersi erano le verdure, i legumi, il pesce salato, le sarde e quasi sempre non proprio freschissime!

Un limite, la qualità del cibo, che doveva comunque essere superato ed aggirato in qualunque modo possibile. Così astutamente, non disponendo di ingredienti prelibati, ogni attenzione e cura venivano riservate alla preparazione degli unici alimenti che poetvano permettersi di acquistare o raccattare, magari grazie alla benevolenza di qualche nobile di corte.

Così, con fantasia ed estro, dei cibi poverissimi, con l'intento di imitare alcuni piatti assai costosi, divennero piatti gastronomici d'eccellenza". Salsine agrodolci a base di capperi e olive o altre eleaborate a base di aglio, olio ed aromi vari, pinoli o magari passolini presero sempre più piede in cucina e valorizzavano anche ciò che, per qualità, aveva un valore prossimo allo zero. Espedienti e modalità di cottura messi in pratica con lo scopo di imitare quei piatti così ricercati ed impossibili da proporre all'interno delle mure domestiche di molti. E fu cosi che le melanzane intaccate sui fianchi con un coltello e fritte assunsero un vago aspetto di quaglie, le interiora e le frattaglie degli animali cucinate a modo sostituirono egregiamnete i tagli di carne pregiati, le fave cotte insieme a tipici aromi e erbette diedero vita al piatto “favi a cunigghiu".

Le sarde, farcite ed arrotolate a modo vennero apparentemnete trasformate in beccafichi, gli uccelletti dei quali si nutriva la nobiltà, ed ancora aperte e deliscate non fecero rimpiangere le costosissime sogliole, che i nobili spagnoli chiamavano "lenguado".

Ecco come le sarde palermitane di questo piatto divennero "allinguate" ovvero "sarde a sogliola". A proposito del nome, però, una precisazione, appare doverosa. Nonostante questa fondatissima tesi etimologica, infatti, qualcuno sostiene che il nome "allinguate", deriverebbe, invece, dal fatto che le sarde, una volta pulite della lisca centrale ed aperte in due, ricorderebbero la forma di una lingua.

Comunque sia....”'a sarda all'inguata, 'un si po' scippari ra' vucca pi quant'è buoana!

La sarda, pesce azzurro per eccellenza, contiene un'alta percentuale di omega 3, proteine, sali minerali e vitamine che la rendono un alimento perfetto dal punto di vista nutrizionale. E' molto apprezzata in cucina e, essendo un alimento ricco di calcio, è consigliata per combattere i processi di decalcificazione ossea.

Il fatto di mettere poi, come in questa ricetta, il pesce a marinare nell'aceto o nel limone prima di friggerlo, è il solito antico rimedio. Proprio come detto, la cucina popolare siciliana nasce dalla reinvenzione dei piatti dei nobili usando gli unici alimenti che la servitù poteva permettersi. Alimenti, quasi sempre non abbastanza freschi se non “fitusi”, per scriverla come cita il Basile e che quindi comportavano particolari attenzioni. Correva l'obbligo, infatti, di usare in cucina degli escamotages per evitare sia l'impatto con un gusto alterato sia il rischio che si rimanesse intossicati dall'ingestione di alimenti poco freschi.

Il rimedio empirico? Un bagnetto nell'aceto, ed il pericolo era arginato. Quest'accorgimento, però, ha conferito al piatto un' inimitabile e caratteristico sapore, rendendolo unico anche ai giorni nostri.

In Sicilia vi è una dura lotta tra le sarde allinguate e quelle a beccafico; si contendono le tavole senza mai vincere definitivamente l’una o l’altra. Volete la mia opinione? Sono buonissime entrambe, l’imbarazzo della scelta è indubbio ma vige sempre il detto siciliano “Mancia e vivi a gustu to', causa e vesti a gustu d'autru”.

 

Ingredienti:500 grammi di sarde intere, aceto di vino bianco, farina di grano duro o semola rimacinata, olio extra vergine d'oliva e un pizzico di sale.

 

Preparazione

Pulire le sarde sotto l'acqua corrente, squamarle, privarle delle interiora, aprirle a libro, togliere la lisca, lasciando la coda attaccata. Metterle in un vassoio o un recipiente e coprirle completamente con l'aceto. Copritele con della pellicola trasparente e riponetele in frigo per circa un'ora.

Quindi prendetele, sgocciolatele bene, infarinatele e lasciatele riposare così ancora mezz'ora circa. Trascorso il tempo indicato, prendete un recipiente da frittura e portate l'olio a temperatura elevata. Friggete le sarde lasciandole dorare da entrambi i lati.

Passatele su un foglio di carta assorbente, salate e servite ben calde....