La favola di Marcovaldo e l’appuntamento con l’estate soffocante

Ho omaggiato spesso e volentieri Italo Calvino, lo scrittore cubano e partigiano italiano. Intellettuale senza frontiere geografiche, Calvino è stato senz’altro uno dei più grandi scrittori della secondo Novecento Italiano.

I numerosi ambiti d’interesse letterario, Calvino li ha stigmatizzati e raccontati nella sua celebre Trilogia dei Nostri Antenati, Le Cosmicomiche e Marcovaldo. Non farei mai una graduatoria dei grandi scrittori del secondo Novecento Italiano perché sono faziosamente legato al mio maestro Leonardo Sciascia. Amerei completare la lista inserendo Gesualdo Bufalino, Moravia, Pier Paolo Pasolini. Ad eccezione di Moravia, ho conosciuto dal vivo Bufalino e Pier Paolo Pasolini e li ho amati inverosimilmente. In piena calura estiva, soffocante e fastidiosa, noi Siciliani abbiamo una risorsa divina, ovvero il nostro mare color Marsala, frammisto ad un azzurro intenso nelle isolette e cale fantastiche, raggiungibili in una frazione di pochi minuti. Non esistono condizionatori di aria fredda che possono emulare l’onda, il cavallone ed il ristoro fisico che ci procura il mare nostrum. Marcovaldo è tra le favole di punta della trilogia calviniana, il personaggio che mi ricorda certi monrealesi degli anni 60, tosti, duri, grandi lavoratori, agricoltori instancabili che trascorrevano la stagione estiva nelle vecchie case di campagna e continuavano indefessamente il duro lavoro nei campi, fino alla vendemmia e raccolta dell’uva.


Marcovaldo è un ragazzo tosto che preferisce restare in città nel periodo estivo e sopportare l’afa cittadina ed i rumori notturni che non lo fanno dormire. Infastidito e sull’orlo di una crisi isterica, decide di evadere dall’oppressione urbana. Spesso e volentieri, i nostri angeli guida ci suggeriscono soluzioni fantastiche per uscire dal pantano e dall’angoscia. Marcovaldo all’alba del 12 luglio, avverte un rumore che rassomigliava a un muggito, si precipita verso la finestra e nota sulla strada una mandria di mucche che guidate dai pastori si dirigeva verso le montagne. Certamente questo spettacolo fu un evento inusuale in una realtà cittadina e industriale, che preparava i nostri destini legati al cemento ed all’inquinamento a 360 gradi.
Michelino, il più grande dei figli di Marco, sempre vicino al padre, rivestendosi in un baleno si precipitò per strada e decise di seguire le mucche in viaggio verso la montagna. Nei giorni successivi, Marcovaldo apprende che il figlio gode ottima salute e si gode al fresco l’aria salubre della montagna. A settembre, Michelino ritorna a casa e racconta al padre quanto sia dura la vita contadina, dominata dalla fatica e dall’usura di un lavoro costante e senza orari, dominato da una natura avara e spietata. Altro che contemplazione ed estasi! Nel finale della sua favola, Calvino ricalca le orme letterarie del grande Giacomo Leopardi che, nella sua divina cantica del Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia, scrisse: O forse erra dal vero, mirando all’altrui sorte, il mio pensiero; forse in qual forma, in quale stato che sia, dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale.
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