• Prima pagina
  • Cultura
  • Il linguaggio universale delle mani, una storia che si perde nella notte dei tempi

Il linguaggio universale delle mani, una storia che si perde nella notte dei tempi

Un viaggio sensoriale e comunicativo colmo di simbologie e significati

MONREALE, 19 luglio - Ci sono immagini che custodiscono il ricordo di un frammento di vita, di un’esperienza lontana, che restano impresse nella memoria, immagini che ritornano ed evocano emozioni simili a carezze.

Come quelle piene d’amore dei genitori ai propri figli, o la sicurezza di una mano stretta alla propria, mani che guidano i primi passi di un bambino, sensazioni tattili che non si scordano facilmente. Succede sempre quando guardo un’immagine dove le mani sono ben in vista o hanno un ruolo significativo; sensazioni ed emozioni si mescolano e affiorano ricordi vivi e intensi, un viaggio sensoriale carico di significati simbolici, evocativi e nostalgici.

Eppure, senza accorgercene usiamo le mani con disinvoltura e naturalezza quale “strumento” anatomico per tante pratiche quotidiane e insieme agli altri sensi sono il mezzo, il tramite tra noi e il mondo.

In questi ultimi mesi si è parlato tanto delle mani e di come vanno lavate per evitare la diffusione di virus e batteri, basti pensare che a partire dal 2005 l’Oms ogni anno il 5 maggio, promuove la giornata mondiale dell’igiene delle mani per rammentare la fondamentale importanza di questa pratica semplice, ma essenziale.

Le troviamo protagoniste nella leggenda popolare di Colapesce, che con le mani regge da secoli, la colonna consumata dal fuoco tra Catania e Messina immolandosi per salvare la nostra Sicilia. E, come non ricordare l’impronta della mano, intrisa di sangue impressa sul muro di una stanza nel Castello di Carini della baronessa Laura Lanza di Trabia uccisa dal padre e dal marito perché rea di aver amato “lu Vernagallu di sangu gintili ca di la giuvintù l’onuri teni” raccontata da tanti cantastorie e resa popolare dallo sceneggiato televisivo.

Impronta che ci riporta indietro di circa tredicimila anni fa, nella Caverna delle Mani in Patagonia Argentina, sito di grande importanza archeologica e Patrimonio Unesco dal 1999, famosa per le incisioni rupestri e le impronte in negativo di tante mani di un popolo indigeno di questa parte del mondo, dalle quali prende il nome. Mani che si fanno linguaggio gestuale, per consentire la comunicazione tra chi è privo dell’udito, sostituendo il gesto al suono delle parole.

Lo sanno bene i siciliani, che alla gestualità delle mani affidano molti significati e messaggi, fino a sostituire le parole.    Che siano benedicenti, alzate in aria, chiuse o nell’atto di compiere un’azione, le mani sono state sempre “oggetto” di attenzione di artisti, poeti e scrittori di tutti i tempi.

Osservando le opere d’arte dei maggiori pittori italiani non si può non pensare “all’atteggiamento aggraziato ed eloquente” delle mani dipinte da Botticelli, dove posa e gesto seducono l’osservatore o alla famosa immagine della creazione dell’uomo dei famosi affreschi della Sistina del grande Michelangelo, dove dallo sfioramento delle dita ha inizio la storia dell’uomo.

Nel David, scultura simbolo della Firenze rinascimentale, oggi custodita all’Accademia Belle Arti, Michelangelo concentra l’attenzione maggiore alle pulsazioni delle mani affidando il significato biblico dell’azione a esse. E ancora, nel Giudizio Universale, la mano giudicante dell’imponente figura di Cristo fa da fulcro dell’intera scena.

Di Leonardo Sciascia, la descrizione dell’Annunciata di Palazzo Abatellis di Palermo, del nostro Antonello da Messina: “E di fronte all’Annunciata di Palermo, si noti la piega della mantellina che scende al centro della fronte: che per il pittore, al momento, avrà avuto un valore soltanto compositivo, ma a noi ci dice di un capo conservato nella cassapanca tra gli altri del corredo, e tirato fuori nei giorni solenni, nelle feste grandi, e si noti anche l’incongruenza, peraltro stupenda, della destra sospesa nel gesto ieratico (mentre è del tutto naturale al soggetto – diciamo della donna contadina – il gesto della sinistra a chiudere i lembi della mantellina);”… Che cos’è la rappresentazione, se non un gioco di mani, che ne determinano lo spazio e la profondità?

L’artista che maggiormente affida al gesto e alla posa delle mani l’efficacia del suo messaggio è senza dubbio Caravaggio. Nelle sue opere, dove è evidente la portata innovativa e realistica, le mani hanno un ruolo fondamentale, si pensi al quadro “Buona ventura” del 1593-94, che rappresenta una zingara mentre nell’atto di leggere la mano sfila furtivamente l’anello al dito del cavaliere, intento ad ascoltare le parole, in un gioco raffinato di sguardi. Degli stessi anni l’opera “I bari” le cui figure sono legate tra loro dalla complicità espressa dal gesto del baro, che sbirciando le carte del giocatore ne suggerisce il valore al suo compare.

In “Ragazzo morso da un ramarro” il morso al dito e il movimento repentino del giovane sono colti nell’immediatezza dell’espressione di dolore. Ma, l’opera che maggiormente esprime attraverso la gestualità delle mani, il suo significato più profondo è “L’incredulità di San Tommaso” del 1606 commissionata da Vincenzo Giustiniani il mercante e banchiere più ricco di Roma.

Brutalità ed essenzialità del gesto di Tommaso, che a forza introduce il dito nella ferita del Cristo sono gli elementi che compongono il messaggio dell’opera, insieme alla mano di Cristo nell’atto di scoprire la ferita sotto il chitone bianco, e con l’altra afferrare il polso dell’incredulo Tommaso. Mani che sorreggono il capo e il corpo di Cristo, nelle innumerevoli rappresentazioni delle deposizioni di Gesù.

Sono le mani dei musicisti, che regalano emozioni facendo vibrare le corde o i tasti di un pianoforte, e con esse le corde dell’animo; le stesse corde degli strumenti raffigurati dal Caravaggio, che a distanza di secoli, ancora vibrano di bellezza e talento. E, come non citare il monrealese Pietro Novelli, che alla forza della mano - la cui plasticità ancora oggi sorprende chi ha la fortuna di ammirarlo - che afferra i capelli di Daniele sottraendolo alla ferocia dei leoni affidando il messaggio salvifico del santo, nel vicino affresco del refettorio di San Martino delle Scale.

Sono i sovrani normanni, Ruggiero prima, e Guglielmo II a Monreale poi, a erigere con le loro mani le chiese da offrire alla Madonna raffigurate nei mosaici e nel famoso capitello scolpito da mani sapienti del Chiostro benedettino.    Tornando al nostro tempo sono le mani giunte in preghiera, e l’instancabile missione per i più deboli di madre Teresa di Calcutta a dare una lezione di grande umanità, di pace e altruismo, a tutte le potenze del mondo.

Sono le mani tese dei poveri, che implorano carità ai margini dei marciapiedi e della società, la storia di un uomo semplice, che abbandonata l’agiatezza di una vita vuota si spoglia di tutto per dedicare il suo tempo ai più deboli, a dare un messaggio di speranza per chi rimane indietro. Sono le mani imploranti alzate al cielo, che chiedono giustizia e verità per le stragi impunite, che la terrena giustizia degli uomini non riesce o non vuole dare.

Sono le mani segnati dalla sofferenza del duro lavoro dei campi dei nostri contadini, le mani dei nostri soldati che hanno difeso la patria; sono le mani che modellano l’argilla sin dai tempi antichi segnando il tempo delle costruzioni e dell’ambiente; le mani dei pescatori che annodano i cordoni e le reti scandendo il ritmo della vita; sono le mani di donne intente a ricamare al telaio o all’uncinetto, lo stesso telaio, il cui ordito fermava il trascorrere del tempo, nell’attesa del ritorno dell’eroe omerico.   

Sono le mani forate dai chiodi, sulla croce di legno, che hanno salvato l’intera umanità. E, con la mano alzata di Cristo, nel “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli, che il grande regista magistralmente inchioda lo spettatore, di fronte al mistero della risurrezione. Sono le mani tremanti a riportare alla memoria il ricordo di un grande uomo del nostro tempo, sul crepuscolo della sua parabola terrena, le cui pagine al vento - del Vangelo poggiato sull’umile bara di legno - sembravano essere sfogliate dalla mano di Dio.