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L’opera dei pupi e la materia cavalleresca, pupi, personaggi e spettatori: Gano di Magonza il traditore

L’opera dei pupi, tipica manifestazione della cultura popolare esprime in maniera esplicita lo spirito epico, eroico e cavalleresco, quale mezzo per l’esaltazione della difesa della dignità umana. Il sentimento cavalleresco che animava il popolo siciliano ben si adattava, per l’indole stessa, alle prodezze dei paladini di Carlo Magno, che lottavano per il trionfo della fede.

Il pubblico dell’Opra s’identificava con i personaggi, che conosceva grazie alle dispense, riconosceva le insegne sugli scudi e sul cimiero, i colori delle stoffe e dei piumaggi, i nomi delle spade e dei destrieri, seguiva con partecipazione e coinvolgimento emotivo tutte le vicende.
Abbiamo iniziato il nostro viaggio nel fantastico mondo dei pupi e delle storie cantate nei teatrini, con la Rotta di Roncisvalle, l’episodio più drammatico e struggente dell’intero ciclo, che chiudeva la saga dei paladini di Carlo Magno.
Alle vicende di Roncisvalle è legato il personaggio Gano di Magonza, figura negativa e più odiata dal pubblico dell’opra, anzi di quegli avvenimenti ne è l’artefice, potremmo dire che l’imboscata tesa alla retroguardia guidata da Orlando nelle gole dei Pirenei, allo scopo di annientare i migliori paladini di Francia è un suo piano, congegnato nei minimi particolari con lucida malvagità.


Gano della ricca casa di Magonza, lo ricordiamo è sposato in seconde nozze con Berta sorella di Carlo Magno - vedova del prode Milone di Anglante, padre di Orlando - e dunque patrigno di Orlando. Il Carlo Magno dei pupi lo teneva in gran considerazione, nonostante Gano non mancasse mai di elargire cattivi consigli; Carlo Magno in talune circostanze mostrava tutta la sua dabbenaggine, messa in risalto, nell’opera dei pupi da Rinaldo, acerrimo nemico dei Magonzesi, un atteggiamento del sovrano francese, verso il quale il principe di Montalbano mostrava insofferenza e ribellione.

Il pupo si presenta con un’armatura non molto curata negli arabeschi, la lettera “M” sullo scudo e la faroncina di colore nero, il suo portamento è poco aggraziato, goffo.
Il suo viso nero e barbuto è contrassegnato da un taglio inferto da Malaguerra - figlio adottivo di Rinaldo – sfregio e marchio che in certi ambienti i siciliani riservano ai traditori; appena si presentava sul palcoscenico veniva accolto da una moltitudine di fischi e da qualche più sconcio suono, mentre torsi di cavolfiori, bucce di arance e altra roba pioveva sul palcoscenico accompagnato da urla ostili.
Questa ostilità raggiunse livelli inimmaginabili, come narrato da Marcello Jodice in Radiocorriere n 21 del 22-28 maggio 1955: “Anni fa a Partinico, in un teatrino dove si stava rappresentando un avvincente episodio dell’Opera dei pupi echeggiò un secco colpo di pistola.
Nello stesso istante una marionetta cadeva sulle sconnesse tavole del palcoscenico con la corazza squarciata”.
Uno spettatore preso da rabbia contro il vile traditore Gano di Magonza, pensò bene di farsi giustizia da sé, e immedesimandosi nell’azione scenica, gli assestò un colpo di rivoltella.
Paolo Fabbri - semiologo scomparso lo scorso giugno – nel catalogo della mostra tenuta a Parigi nel 1944 “Au Bout du fil. De I pupi siciliani à Tadeusz Kantor” scriveva: “Chi ha comprato il pupo di Gano, il traditore di Roncisvalle, per fucilarlo, appeso ad un albero siciliano, ha ripetuto il gesto di Don Chisciotte che fa a pezzi le marionette”.


Dunque, all’indirizzo di Gano arrivava tutto l’odio e il disappunto del pubblico dell’opra, che finita la rappresentazione scenica esaltava gli atteggiamenti degli eroi/pupi prediletti, e ripudiava i personaggi negativi.
La contrapposizione tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia si ripercuote nell’atteggiamento del popolo dell’opra nei confronti dei protagonisti; riunire da una parte i paladini del casato di Rinaldo e i Magonzesi significa dividere il bene dal male, e spiega l’odio verso Gano reo di ordire i più efferati tradimenti. Il nome di Gano è sinonimo di traditore e “cani ‘i mahanza” nella versione dialettale veniva apostrofato l’individuo che tradiva l’amicizia e i valori di lealtà e della correttezza.
Ognuno degli appassionati delle storie paladinesche prendeva a cuore il proprio eroe, si identificava con esso imitandone i gesti e gli atteggiamenti; nessuno sceglieva i personaggi negati o contrari ai difensori del giusto, dei più deboli, della fede cristiana. Su quest’ultimi, e su Gano di Magonza, divenuto il bersaglio, il punto più buio dell’epopea cavalleresca riversava tutto l’odio e la rabbia. con un coinvolgimento tipicamente siciliano.
Ma di quanti Gano è popolata la storia dell’uomo, di quanti protagonisti di strategie condotte con lucida slealtà e consapevole scorrettezza, la realtà quotidiana?
Quanti si sono resi “cani ‘i mahanza” tradendo valori e principi in nome di facili successi e laute ricompense?
Per fortuna c’è sempre un eroe, che si erge a paladino e con il suo sacrificio ci indica la via, ci traccia la strada, ci scuote dal sonno dell’inerzia per sconfiggere il male e la cattiveria.