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''È stata la mano di Dio'', una storia di perseveranza in concorso per gli Oscar

Dopo giorni di fibrillazione e attesa, è arrivata l'ufficialità: "È stata la mano di Dio", pellicola autobiografica di Paolo Sorrentino, già premiata alla Mostra di Venezia con il Leone d'Argento - Gran premio della Giuria, nonché candidata ai Golden Globes, è in lizza agli Oscar come miglior film internazionale.

Otto anni dopo il successo straordinario di 'La grande bellezza', il film è in concorso per l'Oscar al miglior film straniero con "Madres Paralelas" di Pedro Almodovar, "Drive My Car" di Ryusuke Hamaguchi e Teruhisa Yamamoto, "Petite Maman" di Céline Sciamma e Bénédicte Couvreur, "The Worst Person in the World" di Joachim Trier e Thomas Robsahm.
Accolgo la notizia con l'entusiasmo e il trasporto degni delle più appassionate estimatrici del regista partenopeo. Il mio amore per il suo originale modo di "fare cinema" è un amore maturo e, pertanto, consapevole. È passione giunta in un'età che si fa epoca di bilanci e che trova, nelle narrazioni portate sul grande schermo da Sorrentino, la più aderente traduzione di sentimenti, emozioni e stati d'animo che le sono propri. Pertanto, pur priva di qualunque competenza in ambito cinematografico, da alcuni mesi ho intrapreso un vero e proprio "viaggio" nella filmografia del regista napoletano, che divoro con curiosa "voracità", cercando in modo indefesso tutte le pellicole disponibili sulle più note piattaforme on demand.

Sorrentino mi affabula e mi cattura, traduce le inquietudini del nostro tempo con uno sguardo cinico e allo stesso tempo malinconico. Nelle sue pellicole ogni aspetto concorre alla costruzione di un mondo personale e universale: dalla fotografia, sempre curatissima, al taglio lungo e lento delle inquadrature; dalle pause, ricche di tensione emotiva, alla colonna sonora, fil rouge della vicenda narrata e gioco sottile di complicità con il pubblico. Tutto, poi, è sovrastato in modo superbo dai dialoghi, tanto densi da meritare più di un ascolto, per essere apprezzati pienamente, e dalle straordinarie interpretazioni degli attori prediletti, tra cui eccelle Toni Servillo, quasi "attore-musa".
Così, quando, dopo un breve passaggio nelle sale cinematografiche dal 24 novembre, a metà dicembre "È stata la mano di Dio" arriva sulla piattaforma Netflix, non attendo neppure ventiquattro ore per vedere il film.

La mano di Dio, cui rimanda il titolo, è quella di Maradona, il calciatore-icona che ha segnato e in qualche modo salvato la vita di Sorrentino. Il regista appena sedicenne, perse i suoi genitori in modo inaspettato, per avvelenamento da monossido di carbonio da fuga di gas nella casa di villeggiatura della famiglia. Anche Paolo si sarebbe dovuto trovare lì, in quel tragico fine settimana, se non avesse ottenuto il permesso di restare a casa da solo, per la prima volta nella vita, per andare a vedere Maradona, in trasferta con il Napoli.
Il film, attraverso il protagonista Fabio Schisa, suo alter ego, ripercorre quindi la vicenda personale del regista. In una Napoli languida, contraddittoria, seducente e dura, il giovane vive il dolore della perdita dei genitori, attraversa tutti gli ostacoli dell'elaborazione del lutto e diviene consapevole, dopo avere riso e pianto, della necessità di "fare cinema", come ineludibile esigenza espressiva, bisogno primario di raccontare.

La pellicola è un vero e proprio "romanzo di formazione", in continuo bilico, contraddittorio e complementare, tra il piano della commedia e quello della tragedia. Sorrentino racconta in modo essenziale, privo di qualsiasi retorica espressiva o visiva, in modo dissacrante a tratti, e nello stesso tempo profondo, una personale storia di famiglia, amore, perdita, speranza, volontà, futuro, ma soprattutto una "storia di perseveranza". Quest'ultima parola ritorna più volte nei dialoghi tra i protagonisti ed è senza dubbio la chiave di lettura che il regista mette a disposizione del proprio pubblico in modo esplicito e generoso.
Alla fine del film, resta nei miei occhi e nel mio cuore Napoli, città da cui fuggire e a cui tornare, immutabile, come il mare, e cangiante, come un sogno che corre e calcia attraverso i piedi di Maradona e che, con la sua mano, salva.
Mi restano un languido stordimento e quella leggera tachicardia, frutto di dolore e speranza, che mi hanno accompagnata per tutta la visione.
Lunga ed emozionante si prospetta, adesso, l'attesa del 27 marzo, data della cerimonia di premiazione, in cui mi auguro intensamente che Sorrentino possa sollevare l'ambita statuetta.