Perchè non sia solo lo slogan di un giorno

MONREALE, 25 novembre - Gli ultimi dati della ricerca europea "Violence against women: an EU-wide survey" (2014), ci dicono che in Italia, il 19% delle donne ha subito nel corso della vita violenze fisiche o sessuali da un partner o da un ex-partner, e il 38% ha subito da lui abusi psicologici gravi; il 9% inoltre ha subito comportamenti di persecuzione (stalking), quasi sempre da un ex partner.

Dati sconfortanti che restano a monito di una giornata, quella del 25 novembre, istituita quale Giornata mondiale contro la violenza sulle donne eche viene celebrata in pompa magna o allo scoccar della data segnata sul calendario, oppure le volte in cui fatti di cronaca eclatanti rimettono il problema sotto l'occhio di bue. Materiale spesso consumato e trattato solo durante un talk show di turno, riviste che affrontano la questione solo in termini sensazionalistici e trasmissioni che spesso cercano solo di evidenziare gli aspetti morbosi del problema e che poco hanno a che fare con un lavoro di informazione vera sulla violenza alle donne. Serve davvero a poco un 25 novembre a riflettori accesi, se gli altri 364 giorni passano, invece, al buio!

Per quanto le richieste contenute nella Convenzione del maggio 2011, meglio nota come “Convenzione di Istanbul”, sottoscritta anche dal nostro governo sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, basata sulle cosiddette tre P (prevenzione, protezione e punizione dei colpevoli), abbiano posto specifici obiettivi, l'analisi dei dati sottolinea nella sostanza quanto tutto, invece, sia rimasto ancora lettera morta, dimostrando, inoltre, numeri alla mano, l’inefficacia e l’inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d’aiuto delle donne vittime di violenza all’interno della coppia.

Dal primo agosto di quest’anno, principi e norme contenuti in quel testo sono divenuti obbligo, eppure manca ancora una pratica politica che sappia costruire un metodo di lavoro realmente in linea con quanto la Convenzione stabilisce. A conferma di quanto ci sia ancora tantissimo da fare anche il dato consuntivo del 2013, anno in cui il 51,9% delle future vittime di omicidio, ben 179 in totale, aveva già segnalato/denunciato alle istituzioni le violenze subite.

Garantire una specifica assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere attraverso, per esempio, l'istituzione dei centri anti-violenza, è di notevolissima importanza ma, a parer mio, è fondamentale che ci si adoperi per la prevenzione del fenomeno.

Riflettiamo ad esempio sui passaggi avvenuti in merito alla responsabilità delle pari opportunità in sede di Governo: abbiamo prima avuto la Ministra, poi una vice Ministra al Ministero del Lavoro; con il Governo Renzi la delega è rimasta al Premier, un passaggio molto importante che però, almeno fino a poche settimane fa, con la nomina di Giovanna Martelli, è rimasta una delega priva di reale capacità di incisione sull’attuazione dei necessari cambiamenti.

Con il primo decreto di attuazione realizzato, l’Italia ha dato priorità alle problematiche della vittima di violenza. Questo doveva essere l’inizio di un percorso senza precedenti per costruire gli strumenti di attuazione della Convenzione, invece sembra registrarsi una sorta di assuefazione all’idea secondo la quale la politica debba occuparsi, quasi esclusivamente, di questo aspetto, trascurando totalmente quel profondo cambiamento di prospettive che ci offre la Convenzione stessa, laddove spinge ad operare innanzitutto sulla prevenzione e sulla prevenzione della violenza in genere, non soltanto sulle donne.

Se non si riparte da questo aspetto, vuol dire che non si è capito nulla delle radici delle discriminazioni, e dunque anche del femminicidio. Una gravissima lacuna politica e culturale.

Attuare la Convenzione di Istanbul vuol dire “anche” affrontare quindi i due principali pilastri della prevenzione: la scuola e i mass media. Quando dico scuola, però, non mi riferisco semplicemente all’inserimento di un’ora formativa sul tema dell’educazione alla differenza di genere nei programmi scolastici, ma a un cambiamento reale e generale di programmi in grado di modificare la cultura dei generi e della relazione tra uomo e donna. Questione necessaria e utile per condurre le nuove generazioni più lontane dalle ragioni che portano non soltanto al femminicidio ma al bullismo ed alla violenza in senso lato.

A conforto della considerazione che la violenza è un fenomeno che tutti indistintamente, uomini e donne, per stanarlo e contrastarlo, dobbiamo conoscere, stamattina nel corso dell'evento “Vincere la partita più importante: quella contro la violenza sulle donne”, organizzato a Roma dal dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sarà lanciata la nuova campagna di sensibilizzazione promossa dal Governo italiano “ #cosedauomini” e rivolta agli uomini e ai ragazzi.

Per combattere la violenza occorrono anche interventi a sostegno dell’occupabilità delle donne, delle politiche di conciliazione vita/lavoro e di rieducazione dei violenti che spesso ripetono il reato perché non denunciati. Dire No alla violenza sulle donne, quindi, è un impegno di civiltà che riguarda tutti, donne e uomini di ogni Paese, perché solo insieme le azioni e le iniziative in campo possono trovare quella forza necessaria capace di innestare il cambiamento e porre fine ad un fenomeno che è un crimine contro l’umanità.