A Monreale c'è voglia di comunità

fumetto di Stefano Gorgone

Carissimo direttore,
come va ripetendo da tempo Papa Francesco “la grande sfida del nostro mondo è la globalizzazione della solidarietà e della fraternità al posto della globalizzazione della discriminazione e dell’indifferenza”.

Significative sono, al riguardo, le molteplici manifestazioni di condivisione e di solidarietà attivate a seguito della drammatica esperienza della pandemia che si è estesa con inarrestabile forza e velocità. Tra tutte mi pare particolarmente toccante l’esempio del premier albanese Edi Rama che ha dichiarato che “il suo Paese non ha perso la memoria e non può abbandonare l’amico in difficoltà”. Così come espressione di fraternità può essere considerata la partecipazione via streaming di molti nostri concittadini alla celebrazioni religiose ed ai momenti di preghiera. Sono tutte iniziative che, a mio modesto avviso, contribuiscono in maniera concreta a fare emergere un bisogno ed una voglia di comunità a farci riflettere su come ed in che modo possiamo realizzarla.

Essere comunità vuol dire, innanzitutto, fare memoria delle proprie radici, riconoscersi nelle proprie tradizioni, in una comune identità. Se nella nostra città nulla si può spiegare se non in riferimento al Duomo, è anche vero che sono gli individui a caratterizzare un territorio con le loro attività, le loro culture, il loro amore per la città. Penso, ad esempio, alle fondamentali ricerche effettuate dallo storico monrealese Giuseppe Schirò sul nostro straordinario patrimonio artistico e culturale, alle pregevoli pubblicazioni sulle origini del fenomeno mafioso e su significative personalità della nostra diocesi a cura di Amelia Crisantino, di Tonino Russo sulla storia del Regno di Sicilia e degli Altavilla, ai più recenti ed interessanti lavori di don Giuseppe Ruggirello sulle figure di santità.
Ritengo pure prezioso l’impegno delle famiglie Campanella e Rossi nel volere salvare dall’oblio e tutelare la tradizione artistica dell’Opera dei Pupi.
Essere comunità, dunque, comporta amare fortemente il luogo dove viviamo privilegiando la capacità di ascoltare, di dialogare, di tessere rapporti di reciprocità,di porre una particolare attenzione allo spazio dei valori.
Nella situazione surreale in cui ci troviamo “nessuno può dirsi padrone del proprio destino”, come ci ricorda il sociologo Bauman, anzi il bisogno di sentirsi parte di una comunità si fa sentire più forte.
Nell’impossibilità di muoverci ed andare, ci rendiamo conto più che mai che “nessun uomo è un’isola e che non possiamo vivere staccati dagli altri.”
In un tempo caratterizzato dall’incertezza, piuttosto che essere antagonista di ciascuno e confinarci nella nostra indifferenza, ci facciamo compagni di strada e ci sentiamo impegnati ad agire in un clima di reciproca comprensione, di corresponsabilità, di solidarietà.