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Il nuovo vitello d’oro: solitudine, potere e speranza nell’epoca del vuoto

| Salvo Porrovecchio | L'opinione
fumetto di Salvo Porrovecchio

Viviamo in un tempo in cui il potere, anziché essere luogo di servizio e responsabilità, si trasforma sempre più spesso in un teatro di simulacri.

Nelle stanze in cui si decidono i destini collettivi, si aggira oggi un nuovo vitello d’oro – non più fuso nel metallo, ma forgiato nell’apparenza, nell’ideologia del consenso, nell’idolatria della visibilità e della forza comunicativa. È un idolo moderno, sofisticato, che non promette salvezza ma successo, non chiede fedeltà ma visibilità, non guida ma intrattiene.
Come nell’antico racconto biblico, anche oggi l’uomo, smarrito nell’attesa e nella paura del vuoto, cede alla tentazione di costruirsi una divinità a propria immagine: tangibile, controllabile, immediata. In una società attraversata da crisi complesse – ambientali, sanitarie, sociali, spirituali – il potere cerca legittimazione non nella verità, ma nella spettacolarizzazione. Il risultato è un’illusione collettiva che anestetizza il pensiero critico, disinnesca la partecipazione, svuota il senso della responsabilità politica.

Eppure, noi esseri umani restiamo creature straordinarie. Capaci di sogni di bellezza vertiginosa, di immaginare mondi di giustizia, di creare opere, gesti, idee che superano i confini dell’utile e del contingente. Abbiamo costruito città, ponti, ospedali, poesie e costellazioni di significato. Ma siamo anche fragili, esposti al rischio del disincanto, alla deriva dell’indifferenza. Siamo più connessi che mai eppure profondamente soli, come se la relazione umana – che un tempo dava senso al vivere – si fosse smarrita nel rumore di fondo.
Questa solitudine, tuttavia, non è l’ultima parola. In tutte le nostre ricerche – scientifiche, spirituali, culturali – scopriamo che la sola cosa che rende il vuoto sopportabile siamo noi stessi: non come individui isolati, ma come rete vivente di relazioni, come custodi reciproci di dignità. In un’epoca che idolatra la performance e marginalizza la fragilità, restare umani è un atto di resistenza.

Il vitello d’oro non può essere distrutto da una nuova ideologia, ma solo da una rinnovata umanità. Riconoscere nell’altro un volto e non una funzione; restituire al linguaggio il peso della verità e non solo l’effetto della persuasione; coltivare il dubbio come spazio etico, e non come pretesto per l’inerzia. Questo è il compito.
Se il potere dimentica la sua vocazione alla cura, spetta a ciascuno di noi – nel proprio ambito, nel quotidiano, nella parola e nell’azione – ricordare che non siamo soli. Che un altro modo di abitare il mondo è possibile. E che, anche nel cuore del deserto, possiamo scegliere di non inginocchiarci all’idolo, ma di alzarci insieme, fragili e solidali, verso un orizzonte di senso condiviso.

· Enzo Ganci · Editoriali

Non occorre essere dei navigati sociologi o degli esperti psicologi per capire quale sia il sentimento comune che alberga, ormai da domenica scorsa, nel cuore di ogni monrealese.

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