Di padre in figlio

Daniel Maldini, figlio di quel Paolo leggenda del Milan, fa il suo esordio tra i professionisti: è il terzo della dinastia Maldini

MONREALE, 3 febbraio – Ci sono storie e storie. Quelle che il solo raccontarle mette i brividi. Quelle che sembrano esser giochi, simpatici balocchi nelle mani di un bimbo dispettoso quale è il Tempo. Ci sono poi racconti, come quelli che prima di dormire allietano di dolci note i timori della notte. E infine ci sono testimoni, eredità. Lasciti, retaggi, insegnamenti e orme da ripercorrere insieme per imparare ad esser grandi. Per imparare a non aver paura della vita e delle sue ombre. Queste le storie, questi i racconti, queste le eredità che siglano il concetto di eternità. Di generazione in generazione. Di padre in figlio.

Milano, Stadio Giuseppe Meazza. Milan 1-1 Hellas Verona. 90' minuto. Peppe Di Stefano, a bordocampo, ha già messo da parte il microfono: ormai non c'è più niente da commentare. D'ora in poi ci penseranno in telecronaca. Il suo compito è finito. Accanto a lui Pioli, allenatore rossonero. Una furia: rimbalza da una parte all'altra della sua area tecnica in preda alla concitazione del momento. La sua squadra fiuta il vantaggio, lo sente come si sente l'acre odore del sangue della preda ferita e rintanata. Nulla, comunque. La partita non è destinata a sbloccarsi. Poi qualcosa cattura la sua attenzione e – come d'uopo nel suo mestiere – l'agitazione comincia a salire. Fa un'ok all'operatore e richiede la linea. Poi parla e le uniche cose che riesce a dire sono: “Io non so se questo momento passerà alla storia. Non so se tra qualche anno se ne riparlerà. Ma siamo di fronte all'inizio di una nuova epoca, perché Daniel Maldini ha appena velocizzato il riscaldamento ed è pronto ad entrare”.

Il ragazzino si sveste, alza i calzettoni e si avvicina solo al cenno del quarto uomo. In tutto lo stadio risuona l'annuncio, il tempo si ferma. I papà sugli spalti impietriscono, il loro cuore – sotto le maglie e le sciarpe – prende a battere un po' più forte, quasi come ridestato da una magia bella e seducente, ispiratrice di gloriosi ricordi. Massimo Ambrosini, al commento tecnico accanto a Maurizio Compagnoni di Sky, resta in silenzio per qualche minuto. Anche il suo di cuore sprofonda nell'abisso del passato e poi riemerge rapido, elevandosi in alto sospinto dal vento della fierezza, quella di chi il Milan degli anni d'oro l'ha vissuto e amato. Perché quel Milan degli Immortali di Sacchi e quel Milan che asfaltò il Barcellona ad Atene '94 , in fondo, apparteneva a tutti e tutti – come italiani – vi s'identificavano. Guarda Maurizio – dice Ambrosini, che quel cognome l'aveva impresso nella memoria – sono emozionato io per Paolo. E' un nuovo inizio. Le telecamere subito volano su di lui, cercano il suo volto e poi infine lo trovano, dannatamente uguale a suo figlio, a quel ragazzo che, inconsapevole forse di tutto ciò, stava innocentemente passaggiando a braccetto con la Storia. Papà Paolo sorride e si lascia coinvolgere nell'abbraccio dei 75mila milanisti presenti. In alto, su nel cielo, sorride anche nonno Cesare che della leggeda-Maldini è stato l'artefice.

Ci sono storie e storie. Quelle che il solo raccontarle mette i brividi. Quelle che sembrano esser giochi, simpatici balocchi nelle mani di un bimbo dispettoso quale è il Tempo. Queste le storie, questi i racconti, queste le eredità che siglano il concetto di eternità. Di generazione in generazione. Di padre in figlio.