Caro Pelè, mi ricordo quando…

Il mio incontro con O' Rey di tanti anni fa

Parigi, luglio 1998. Avevo il privilegio di partecipare, da inviato, ai mondiali di calcio che si svolgevano in Francia. Un’occasione, concessami dal direttore dell’agenzia Italpress, Gaspare Borsellino, che ancora ringrazio, benché siano già passati 24 anni.

E fu proprio lui a dirmi a bruciapelo una sera: “Enzo, domani mattina c’è la conferenza stampa di Pelè. Vuoi andarci?”.

“Minc**a, voglio andarci?” pensai fra me e me. “Considerami già lì, direttore” fu la mia risposta immediata. Chi mi conosce sa quanto io sia appassionato di calcio. Come facevo a perdermi la conferenza stampa di “O’ Rey” del calcio? In pratica: l’incontro col calcio in persona.
La location era di quelle esclusive: l’hotel Ritz nei pressi di quella che un tempo si chiamava place Etoile e che oggi è intitolata a Charles De Gaulle, dove sorge l’Arc de Triomphe, e da dove hanno inizio i famosissimi Champs Èlysèes della capitale francese. L’evento era organizzato dalla Mastercard, della quale Pelè era testimonial.

Da giornalista avevo imparato molti anni prima che dovevo portare il “pane” a casa e per pane intendo il materiale per scrivere il pezzo. Non potevo resistere, però, alla tentazione di partecipare anch’io direttamente alla conferenza stampa e dialogare personalmente con O’ Rey. E così cominciai a capire cosa bisognava fare per iscriversi a parlare. Purtroppo capii subito che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, prenotarsi per l’intervista in esclusiva “faccia a faccia”, quella che in gergo giornalistico si chiama la "one to one”. Troppe televisioni già in coda prima di me. Sarebbe servito aspettare delle ore in attesa e con i ritmi incalzanti delle notizie da battere per l’agenzia non me lo sarei potuto permettere. Resterà, fino a tutt’oggi, un mio grande rammarico.

Optai, allora, per fare una domanda nel corso della conferenza stampa pubblica. Mi accreditai al tavolo e quando venne il mio turno mi alzai, mi presentai e parlai. Non nascondo di aver provato una grandissima emozione. Intanto perché parlavo in un contesto internazionale, davanti a circa duecento giornalisti di tutto il mondo e poi, soprattutto, perché stavo interloquendo da vicino con quello che per tutta la mia vita era stato il mito, la leggenda. L’uomo del quale avevo divorato video, gesta e prodezze, del quale avevo letto aneddoti, imprese e particolari.

Gli chiesi quale era il suo giudizio sulla nazionale italiana, che qualche giorno prima era stata eliminata ai rigori dalla Francia ai quarti di finale e che forse al mondiale, sotto la guida di Cesare Maldini, non era riuscita a dare il meglio di sé. Mi rispose, concordando con me, che dall’Italia si aspettava di più, proprio perché degli azzurri aveva una grande stima e, fatti i complimenti a Paolo Maldini, giocatore dall’incommensurabile valore, era rimasto molto impressionato da Bobo Vieri, che avrebbe inserito nella sua personale “Top 11” del mondiale. Insomma, normale dialettica di domanda e risposta, come si usa fare in qualsiasi conferenza stampa. Ma quella per me non era affatto una prassi giornalistica. Era vivere una favola e sognare ad occhi aperti. Riuscii pure a scattargli una foto (quella a corredo di questo articolo) e, pensate, pure a stringergli la mano.

Tornai a casa, non soltanto col “pane” di cui sopra, pronto e carico per scrivere il pezzo, ma soprattutto levitando ad un metro di altezza, pensando di avere vissuto una delle più belle esperienze professionali della mia vita.
Oggi O’Rey ci lascia. Se ne va quello che per generazioni è stato considerato il più grande di tutti. Personalmente, lui non me ne vorrà, nemmeno da lassù, per motivi che non sto qui a ripetere e che, ovviamente, non sono il Vangelo, sono sempre stato iscritto al partito di Maradona.
Personalmente mi piace ricordarlo con la sua frase-cavallo di battaglia: “Il mio trofeo più grande non sono state le tre coppe del mondo vinte (tre, non una, tre, ndr), ma l’aver dato una speranza a tutti i bambini del Brasile: con l’impegno e la volontà nessun traguardo è irraggiungibile”.
Buon viaggio, leggenda.