Sui Beni Culturali della Sicilia io la penso così

Gaetano Pennino

Intervista a 360 gradi all'ex dirigente generale, Gaetano Pennino

PALERMO, 28 gennaio – Per due anni e mezzo ha guidato uno dei settori “cardine” dell'amministrazione regionale: il dipartimento dei Beni Culturali, la cui materia, a detta di tutti, può essere considerata il settore trainante di un'economia, quella siciliana, che dal suo immenso patrimonio artistico potrebbe trarre sostentamento e sviluppo. Gaetano Pennino, adesso è capo di un altro settore degli uffici della Regione. Lo abbiamo incontrato, facendo una conversazione a 360 gradi sui Beni Culturali della Sicilia.

Dottor Pennino, lei è stato responsabile, da marzo 2015 al settembre 2017, del dipartimento regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana. In questo ruolo ha potuto, dall'interno, toccare con mano limiti e virtù di un settore che, con frequenza quasi ossessiva, viene definito uno dei punti di forza, purtroppo ancora potenziali, dell'economia siciliana. Può darci qualche informazione sulla sua esperienza?

È stata un'esperienza segnata da un impegno prioritario, sovrastante e costante: la spesa, e la conseguente certificazione, dei fondi europei afferenti alla programmazione del 2007/2013 nonché l'avvio della nuova programmazione per il periodo 2014/2020. Solo per citare un dato che dia la misura di tale impegno, siamo passati, nel giro di un anno e mezzo, da una certificazione di circa 45 milioni di euro a un totale certificato di circa 136 milioni di euro. Questo ha equivalso a utilizzare le forze del Dipartimento, concentrate in maniera quasi esclusiva, sull'obiettivo del massimo impiego delle risorse comunitarie, più che su ogni altra azione che fosse di immediata promozione o di riorganizzazione del nostro patrimonio culturale. Ne andava di una parte, per quanto relativamente ristretta, dell'economia siciliana ma con refluenze ed effetti moltiplicatori, com'è noto, su tutto il bilancio dell'amministrazione. A ciò si sono aggiunti, ovviamente, molti altri impegni: fra i tanti, segnalerei la rimodulazione della struttura del dipartimento dovuta alla legge regionale n. 9 del 2015 e la strutturazione di un programma di interventi per il 'Patto per il Sud'.

Ciò che lei dice sembra adombrare la necessità di un impegno su altri fronti in cui è interessato il dipartimento dei Beni Culturali, che, purtroppo, sembra essere venuto meno.

Ciò che io affermo è, in tutta trasparenza, una considerazione evidente: non si può concentrare nell'imbuto della fine programmazione un impegno che deve durare otto anni. E tale impegno comprende molte e delicate fasi: dalla progettazione degli interventi, alla loro selezione per la finanziabilità, alle gare d'appalto, ai cantieri, alla certificazione, ai controlli. È un principio ribadito e raccomandato nei Comitati di sorveglianza della spesa dei fondi PoFesr. Ma questa è una vicenda che temo sia destinata a ripetersi e certamente per responsabilità diffuse. Credo sia una questione legata alle modalità con le quali, fin dalle regole dettate da Bruxelles, sono veicolati i fondi europei; fondi, sui quali, com'è in certa misura normale, la politica vuole determinare e contare. Talvolta tale volontà rallenta i percorsi decisionali (si pensi ai cambiamenti di legislature e, all'interno di queste, i cambiamenti dei vertici politici e amministrativi degli assessorati), a tutto ciò si deve sommare l'estrema farraginosità dei percorsi amministrativi cui ulteriormente si aggiunge – e lo dico senza infingimenti – una burocrazia (quella che elabora i provvedimenti, intendo, non quella, numerosa, destinata a pur importantissimi ruoli ma non incidenti sulla formulazione concettuale degli atti amministrativi) non più giovanissima e scattante, e anch'essa in continuo cambiamento, per pensionamenti, trasferimenti e così via. Per curare la spesa europea con la giusta priorità e con cronoprogrammi che non siano il libro dei sogni, è del tutto plausibile che il dipartimento abbia trascurato alcuni versanti compresi tra le sue competenze: penso alla valorizzazione dei siti, alla comunicazione, alla promozione di alcune opportunità legate alle concessioni, per esempio.

Eppure il settore dei Beni Culturali, come sovente si ripete, potrebbe essere davvero un settore trainante per la nostra economia … cosa manca alla macchina regionale per far decollare un reale e concreto processo di sviluppo in questo settore?

In uno scritto consegnato a questa testata la scorsa estate, in risposta ad alcune osservazioni del sindacalista Michele D'Amico in tema di Beni Culturali (scritto che non ha avuto il seguito previsto in forza della mia destinazione ad altro incarico), ponevo al primo posto dei necessari cambiamenti finalizzati a un migliore andamento del settore, una netta e decisa semplificazione dei procedimenti amministrativi che riguardasse l'intera macchina regionale. Nello specifico del settore su cui mi interroga, quello dei Beni Culturali, l'elenco delle necessità di mutamenti è lungo e complesso e va preceduto da un non più rinviabile processo di totale revisione normativa. Su questo problema vorrei essere particolarmente chiaro: in Sicilia, com'è noto, si applica il decreto legislativo  42/2004 definito 'Codice dei bei culturali e del paesaggio' e al contempo si applicano, dal 1975 e anche da prima, decine di norme regionali, di varia natura per portata innovativa, che interferiscono o si intrecciano con il Codice talvolta in senso migliorativo, talvolta in senso peggiorativo. La materia stenta a definirsi in maniera coerente e sistematica, direi organica, e necessita di un'armonizzazione, ripeto, non più rinviabile. Ciò fatto, si dovrebbe procedere alla rivisitazione dei criterî generali di gestione delle materie del Dipartimento, riorganizzando la struttura e tracciandone le direttive principali che, com'è evidente, sono soprattutto di carattere politico (azione che, mi sentirei di dire, in questa Legislatura nazionale si è in buona misura realizzata a livello ministeriale). In tal senso riformulerei la sua domanda secondo il seguente interrogativo, se mi consente: quali sono i principali obiettivi che devono essere raggiunti nella gestione dei beni culturali e paesaggistici della Regione Siciliana?

Si faccia la domanda e si dia la risposta, se così propone.

La domanda, come propongo che vada formulata, andrebbe in verità posta all'assessore al ramo. Da dirigente generale del settore, fornii, fra le altre cose, alcuni impulsi e molte proposte, come mi era dato obbligo di fare, ai delegati del Governo Crocetta con cui ho avuto l'onore di lavorare, gli assessori Purpura e Vermiglio. Rispondo pertanto alla domanda – se lei insiste che debba farlo – sottolineando energicamente la premessa e specificando a chiare lettere che l'attuale assessore, come del resto i suoi predecessori, non ha certo necessità di miei suggerimenti! Il primo punto dell'elenco degli obiettivi da raggiungere, l'ho già delineato: il coordinamento normativo da cui partire per rimettere in ordine il caos organizzato del dipartimento. Solo a titolo esemplificativo, indico un importantissimo possibile esito, fra i tanti possibili, di tale lavoro: l'autonomia gestionale dei siti della cultura da rivisitare nella loro identità istituzionale. Oggi ci si imbatte in una molteplicità di strutture (musei, gallerie, ecomusei, parchi archeologici, biblioteche, centri regionali, soprintendenze, ecc.) che talvolta stentano a identificare o anche solo interpretare lo specifico ruolo territoriale che devono rivestire, e al contempo perseguono interessi che appaiono talvolta scoordinati, sovrapponibili, competitivi e confliggenti. Per il resto, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, nei suoi primi articoli, detta già una sorta di programma politico permanente indicando come necessarî alcuni obiettivi di progressivo potenziamento: tutela, fruizione, valorizzazione, conservazione e utilizzazione dei beni culturali materiali e immateriali.

Ma questi propositi sono quelli già delineati dalla legge di settore! Non è che abbiamo scoperto l'acqua calda?

Sono contento che una testata giornalistica mi faccia questa osservazione e le spiego subito il perché. Molte fonti di informazione perseguono come 'notizie' alcuni accadimenti e alcuni fatti contingenti, che notizie non sono e che alimentano esclusivamente un vacuo argomentare sulla materia dei beni culturali. Faccio un esempio: se dobbiamo perseguire l'obiettivo della massima fruizione, diffusa e indistinta, dei siti della cultura in Sicilia, possiamo e dobbiamo constatare che il personale di custodia è esiguo. Questa, per me, non è una notizia ma artatamente lo diventa se si insiste continuamente su di essa con il martellamento mediatico-scandalistico accompagnato sovente con la manipolazione dei dati sulla fruizione e sul numero degli addetti alla custodia dei siti della cultura. La vera notizia dovrebbe essere l'individuazione del motivo di tale esiguità di Personale, la verifica di tale esiguità, l'esame delle problematiche connesse (contrattuali, normative, ecc.) e, infine, la proposta di soluzioni al problema stesso. Non solo. La notizia risonante dovrebbe essere, viceversa, quella di una Sicilia che offre una quantità di siti della cultura che superano il centinaio e che mediamente sono aperti tutti i giorni dell'anno, molti sia la mattina sia il pomeriggio. Quale altra Regione può vantare in Italia, e non solo, tutto questo? Ciò detto, una corretta informazione dovrebbe porsi il seguente interrogativo: è sostenibile questo modello di fruizione, è ottimale, è razionale, sposa i principî di una buona offerta culturale, è suscettibile di miglioramenti o è un piano inclinato verso l'insostenibilità del sistema? Con il Professore Purpura stavamo lavorando a queste problematiche e avevamo individuato alcune possibili soluzioni da proporre ai Sindacati. Ma il suo operare venne interrotto da un cambio al vertice dell'Assessorato. Altre delicate priorità, di cui dirò, impegnarono, peraltro proficuamente, il suo successore che ebbe sul tavolo la necessità di risoluzione di ulteriori complessi problemi. Un Assessore, chiunque esso sia, dovrebbe, a mio sommesso avviso, governare per un'intera Legislatura. Quanto detto evidenzia tuttavia una considerazione che può sembrare elementare: non è complesso individuare gli obiettivi di una politica dei beni culturali in Sicilia, è complesso individuare il modo con il quale perseguire gli obiettivi nonché le azioni da attuare. Per rimanere sull'esempio precedente, e per mantenere chiarezza nel percorso espositivo, direi che rispetto al problema dell'esiguità del Personale per il potenziamento della fruizione dei siti, non si può prescindere da un ripensamento dell'offerta quantitativa degli stessi siti, mettendo in stretta relazione richiesta di fruizione e disponibilità di fruizione. Non si rende un buon servizio alla cultura aprendo la mattina le porte di un museo per poi richiuderle la sera, senza porsi il problema di quanti sono stati i visitatori presenti, e ancor di più non si rende un buon servizio alla Regione pensando che allargare sempre e comunque il sistema delle aperture, ovunque e a ogni costo, equivalga a offrire più cultura. Spinto fino in fondo, e con coraggio, questo ragionamento, come è ovvio, porta anche a rivedere la sostenibilità del principio 'un Comune-un museo' che è sotterraneamente, ma non troppo, l'aspirazione di molti amministratori. Chiediamoci a chi serva tutto ciò e in quali Paesi del mondo tale modello sia attuato e con quali risultati.

Il suo ragionamento porta a una conclusione: occorrerebbe chiudere alcuni siti della cultura. Le sembra una proposta migliorativa e, soprattutto, innovativa?

Il mio ragionamento pone una questione di fondo che è grave nascondere sotto il tappeto: è sostenibile l'attuale sistema di fruizione e se non lo è quali sono i rimedi? A mio avviso non si può non razionalizzare sulla base di criterî di attrattività, di domanda e di sostenibilità dell'offerta. Non si tratta di smantellare i siti meno attrattivi (alcuni dei quali non sono oggettivamente migliorabili sotto il profilo dell'interesse diffuso, non di quello specifico, beninteso), si tratta di mettere ordine nel sistema delle aperture e chiusure dei siti. È un problema che talvolta appare come un tabù e che, viceversa, andrebbe finalmente affrontato e risolto con un'interlocuzione sindacale franca, aperta e non viziata da pregiudizi ideologici. Naturalmente tutto ciò comporta anche l'individuazione di strumenti di contrattazione collettiva nuovi e più conformi al tempo attuale. Per gli operatori dei beni culturali, da anni vi sono molte idee nel cassetto da esaminare in fase di proposta nel nuovo CCRL.

Nel suo periodo di gestione, come ha contribuito a razionalizzare il sistema di cui parla?

Negli anni in cui ho gestito il Dipartimento, a seguito di indirizzo politico che determinava la massima fruizione dei siti, abbiamo sostanzialmente mantenuto aperti quasi tutti i siti, compresi i giorni festivi, nella massima disponibilità concessa dal CCRL. In tal senso, ho stretto accordi con quasi tutte le sigle sindacali, con le quali ho trovato disponibilità e collaborazione costruttiva, che hanno consentito anche il superamento del terzo dei festivi indicato come limite massimo di prestazione da parte del personale di custodia. Non abbiamo avuto di fatto dal 2015 al 2017 alcun trauma derivato da chiusure inopinate di siti della cultura, fatte salve le imprevedibilità e qualche emergenza. I giornali hanno scritto spesso il contrario o hanno allarmato in via preventiva, come del resto hanno fatto anche alcune televisioni. I dati sono rinvenibili e testimoniano la veridicità delle mie affermazioni. Non posso nascondere tuttavia che i numeri relativi all'affluenza in qualche caso, non giustificavano lo sforzo compiuto e di ciò ho sempre riferito agli Assessori competenti. Da questa evidenza si sarebbe dovuto partire per i processi di razionalizzazione di cui ho detto.

Può bastare una limitazione dell'offerta per migliorare il sistema? Sembra una contraddizione!

Non parlo, insisto, di limitazione; parlo di razionalizzazione. Principio che non può sfuggire neppure alla gestione dei grandi siti della cultura della Sicilia (quelli riconosciuti patrimonio dell'Unesco, per intenderci) che andrebbero potenziati attraverso azioni non tutte di competenza dell'Assessorato ai beni culturali e sui quali, peraltro, si concentrano quasi tutte le risorse della spesa europea 2014/2020. Mi riferisco, per chiarezza, al miglioramento dei percorsi attraverso i quali i visitatori raggiungono i siti, alla percorribilità delle strade, ai collegamenti pubblici, ai servizi di accoglienza nel territorio dove ricadono i siti, e così via. Didascalicamente direi che come azione politica, non proprio originale, e che comporta, anche in questo caso, molto coraggio, sarebbe più che necessario l'accorpamento della direzione politica tra l'Assessorato ai beni culturali e l'Assessorato al turismo, ovviamente con la differenziazione in più Dipartimenti. È un assurdo e un inutile appesantimento il fatto che si debbano firmare accordi e protocolli tra Assessori di uno stesso Governo per impaginare, a esempio, una stagione di rappresentazioni nei teatri classici della Sicilia (come è accaduto nel periodo in cui io ho gestito il Dipartimento, si pensi al caso di 'Anfiteatro Sicilia'). Come è un assurdo che tale proposta sfugga a una promozione coordinata degli eventi, afferente a vertici politici differenti. Tutto ciò crea solo lungaggini, inutili tecnicismi burocratici sulle rispettive competenze, talvolta perfino gelosie professionali. È ora di dare un taglio a tutto ciò.

Riepiloghiamo. Finora ha declinato due azioni rimandando per gli obiettivi a ciò che detta il Codice dei beni culturali: 1) coordinamento della normativa di settore e conseguenti innovative proposte normative, 2) razionalizzazione del sistema dei siti della cultura e della loro fruizione, accompagnato da modifiche del contratto collettivo degli operatori di settore, che parta dall'accorpamento degli Assessorati al turismo e ai beni culturali. Continuiamo con altre azioni?

Volentieri. Andrebbe drasticamente snellito il sistema delle concessioni, temporanee e non, dei siti della cultura. Vi è un'imprenditoria molto interessata a entrare in relazione con l'Assessorato attraverso il sistema delle concessioni. Talvolta viene scoraggiata da una regolamentazione delle concessioni che segue principî non sempre univocamente applicati, riferiti agli articoli 106 e seguenti del Codice. L'autonomia della nostra Regione consentirebbe di regolare specificamente un nuovo e più agevole sistema delle concessioni ispirato anche a criterî di premialità basati sull'originalità dell'offerta e su un sistema migliorativo dei costi e dei ricavi rispettivamente riscossi dai concedenti e dai richiedenti. E ancora, nel tema della tutela andrebbe immediatamente istituita una struttura forte di potenziamento dell'azione esplicata in tema di paesaggio per addivenire, in breve termine, a un piano paesaggistico regionale integrato che detti finalmente norme coordinate e unitarie, utili alle Soprintendenze per un'azione ispirata a principî omogenei e coerenti. I tempi sono maturi per farlo: in questi ultimi anni sono stati adottati e approvati molti più piani paesaggistici che negli ultimi cinque anni precedenti e, me lo lasci dire, soprattutto a merito di chi in questa materia vi ha lavorato alacremente (soprintendenze, uffici centrali del Dipartimento, vertici politici); è uno dei risultati che abbiamo raggiunto con grande soddisfazione professionale. Per continuare, potrei introdurre il tema della valorizzazione: dicevo precedentemente che l'Assessore Vermiglio riuscì a risolvere alcune delicate questioni; mi riferivo all'annosa problematica del 30% delle entrate derivanti dai biglietti di ingresso nei siti della cultura, che grazie alla convergenza del Legislatore, è stata risolta consentendo al Dipartimento di disporre di maggiori dotazioni, rispetto al passato, per le manutenzioni e i progetti di miglioramento della qualità della fruizione. Solo un esempio, fra i tanti, per chiarire ciò che è stato possibile fare con tali fondi: il finanziamento del progetto per il montaggio della nave romana di Marausa, giacente nelle casse del museo di Marsala da qualche tempo. Dopo un primo anno di sperimentazione, il 2017, oggi si potrebbe lanciare un piano di valorizzazione dei siti strutturato per obiettivi tematici, volto a focalizzare i processi migliorativi. Sul tema della conservazione dei beni, sono maturi i tempi per consentire di drenare risorse al fine di arginare i processi di degrado del patrimonio di beni (soprattutto) immobili. Una parte di tali risorse potrebbero derivare anche dagli introiti che si riversano nelle casse regionali a seguito delle sanzioni derivanti da violazioni del paesaggio, ampliando le finalità attualmente previste dalle leggi ed estendendo la destinazione di tali fondi anche agli interventi di somma urgenza. Potrei continuare a lungo, ma non vorrei che questa intervista fosse considerata solo da una minima parte di persone potenzialmente interessate che, anche solo per stanchezza, potrebbero interrompere la lettura.

Avviamoci quindi alla conclusione: cosa indicherebbe come esperienza positiva della sua gestione e cosa pensa che abbia caratterizzato – in tutta franchezza –  in negativo la sua esperienza?

Chi ha gestito il Dipartimento dei beni culturali sa che ogni giornata lavorativa inizia e spesso finisce con un'emergenza da fronteggiare che si chiama, per esemplificare, o fibrillazione sindacale, o improvvisa precarietà-pericolosità di un sito aperto al pubblico, o immediata e inopinata scadenza da rispettare, o necessità di redazione improvvisa di atti e documenti per Organi istituzionali, o contestazione da fronteggiare sulle condizioni di tenuta di un sito, o richiesta di dati e documenti da parte di Organi di controllo, o polemiche giornalistiche da affrontare: e mi fermo qui solo per non tediare il lettore. Questa è la necessaria premessa per fare qualsiasi bilancio. Premessa che si aggiunge alla 'mission' del mio mandato che ho chiaramente elencato all'inizio di questa intervista, relativa alla spesa europea. Tragga lei le conclusioni.

Ma queste appena elencate, non sono questioni ordinarie per la conduzione di una realtà come il Dipartimento dei beni culturali che, comunque, e lo si sa, è una realtà evidentemente complessa?

Ciò che ho elencato sarebbe tutt'al più ordinariamente urgente e non ascrivibile all'emergenza, se, come fu un tempo, il Dipartimento fosse dotato di forze dirigenziali e genericamente professionali più cospicue e qualificate sulla base di aggiornamenti costanti e progressivi. Vorrei sgombrare il terreno ipotetico delle ambiguità interpretative su quanto sto affermando,  dicendo esplicitamente che, per le forze in campo, nel periodo della mia gestione, ho goduto di apporti professionali eccellenti e che immensamente ringrazio anche attraverso questa opportunità di esternazione. Tuttavia non si può pensare di 'fare azienda' non rinnovando la motivazione del Personale, non introducendo forze nuove nei percorsi dirigenziali, non riconoscendo con percorsi professionali ascensionali chi è più meritevole di opportunità di carriera, detenendone la vocazione e la capacità di assunzione delle relative responsabilità. Attivando tali processi, si attenua anche la pressione su chi va incontro ogni giorno alle emergenze e che, mi creda il lettore, stringe i denti per mantenere integra la funzionalità di un'Amministrazione che quotidianamente perde pezzi con progressivi collocamenti in quiescenza e con un fisiologico innalzamento dell'età media dei Dipendenti. Sul versante delle 'cose fatte', aggiungerei che abbiamo riaperto la Biblioteca Centrale della Regione, abbiamo riaperto il Museo Salinas di Palermo (sia pur parzialmente, ma con predisposizione di prestigiosi nuovi spazi che in questi giorni si stanno rendendo fruibili), abbiamo riaperto il Museo di  Marsala, quello di Himera e soprattutto – con grande determinazione da parte di Vermiglio – abbiamo portato a compimento l'apertura completa di quello splendido gioiello che è il Museo di Messina. È stato uno sforzo complesso, reso possibile dalla coralità dell'impegno professionale di molti Colleghi, di tutte le qualifiche, presenti nelle varie strutture del Dipartimento. Aggiungerei, tra i risultati, anche l'attivazione, dopo lunghi anni di stallo, dei servizi aggiuntivi in alcune importanti sedi istituzionali quali il Parco della Valle dei Templi di Agrigento, il Chiostro di Monreale, il Museo Paolo Orsi a Siracusa, solo per citarne alcune. Aggiungerei ancora la ricostituzione, anche questa avvenuta dopo molti anni, del Consiglio Regionale dei Beni Culturali, avviata da Purpura e siglata poi da Vermiglio e Crocetta. Infine aggiungerei un risultato, tra molti altri che si potrebbero elencare, che non ha avuto l'eco mediatica che avrebbe meritato e che, a mio avviso, costituisce uno dei risultati più importanti della mia gestione: l'acquisizione al patrimonio della Regione di quasi tutto l'itinerario etnoantropologico del Museo diffuso di Buscemi-Palazzolo Acreide, nel siracusano, che si è sostanziato anche di atti di concreta generosità, ovvero donazioni, da parte di proprietari di collezioni di beni mobili e anche, in un caso, di un immobile. Si tratta, a beneficio dei non addetti ai lavori, di una delle realtà più interessanti nell'ambito dei beni demoetnoantropologici, del meridione d'Italia. A tutto ciò va sommato quello che in concreto la spesa europea ha consentito di portare a termine: decine e decine di interventi di restauro, migliorativi di tante eccellenze del nostro patrimonio. Si pensa, infatti, che la spesa europea sia sono da valutare quantitativamente. Ci si dimentica, paradossalmente, che dietro la spesa certificata ci sono strutture che risplendono di nuova luce, per così dire.

Per ciò che non è riuscito a compiere, cosa elencherebbe?

Se dal marzo 2015 al settembre 2017 il Dipartimento è stato positivamente o negativamente diretto, lo devono certamente stabilire altri rispetto a me. Avrei voluto concertare molte più azioni con i Colleghi del Dipartimento con i quali, talvolta, non ho potuto dialogare come avrei voluto. Ciò in parte è stato determinato dalla disseminazione di forze professionali in un territorio vasto qual è quello dell'intera Regione, caratteristica di un Dipartimento che ha presenze diffuse in ogni provincia. Non è facile alimentare il confronto in casi come questi. Ciò premesso, è innegabile che il Dipartimento avrebbe necessitato di un deciso 'colpo d'ali' nel segno di una conseguenzialità di fatti coerenti con i propositi. Si sente ripetere che la Sicilia 'potrebbe vivere di turismo e beni culturali', di 'beni culturali quale oro nero della Sicilia', di risorse culturali 'come volano di sviluppo' in una terra 'al centro del Mediterraneo, in posizione strategica' e via ritornellando con refrain che hanno decisamente stancato e che non emozionano più nessuno. Occorre una continuità di guida politica forte che si proponga quattro o cinque obiettivi altrettanto forti, da correlare tuttavia realisticamente a piani di investimento e alla percorribilità concreta della loro attuazione, nella consapevolezza di disporre di una struttura tecnico-amministrativa – quella del Dipartimento –  che, se non modificata nella direzione che la mia esperienza mi ha consentito di individuare, non riuscirà a seguire il passo. I più bei progetti si infrangeranno nelle difficoltà del fare se non ci attrezzerà adeguatamente con professionalità, mezzi e forze motivazionali proporzionate all'obiettivo da raggiungere. Si potranno alternare i Dirigenti Generali, si potranno alternare gli Assessori, ma i problemi, temo, potranno rimanere sempre gli stessi: ritardi, elefantiasi burocratica, scarsa capacità di vendita del prodotto culturale, improvvisazione, inesistente coordinamento funzionale, corto respiro programmatico. Infine, avrei tanto voluto porre il tema del cambio di denominazione del Dipartimento. Ciò non per un semplice cambio di etichetta o per un restyling istituzionale, ma per indicare prospetticamente un vero e sostanziale cambio di rotta culturale. Non è questa la sede per argomentare le numerose e consistenti ragioni culturali di un cambio di denominazione, ma mi sembra del tutto inadeguato perseguire, oggi, le tentazioni di una 'identità siciliana' che stenta a essere circoscritta dentro un chiaro concetto condiviso e condivisibile e che si delinea piuttosto quale protesi retorica di un comune sentire locale che implicitamente si autocelebra attraverso riti autoreferenziali e fremiti narcisistici di malcelata superiorità dei propri 'usi e costumi'. La Sicilia deve puntare a divulgare i suoi patrimoni parlando un linguaggio internazionalmente riconoscibile e non quello dei localismi che sovente sono portatori di pericolose derive di arretratezza. Questo si fa utilizzando, prima di tutto, la terminologia adeguata con il ricorso a sostantivi che, ancora una volta, si ritrovano nel Codice dei 'beni culturali e del paesaggio' dove il termine identità è usato con molta parsimonia e con un sapore di diversa funzionalità rispetto a quello sotteso dalla denominazione dell'Assessorato siciliano. Conseguentemente avrei tanto voluto proporre e sarei stato molto contento nel guidare un Dipartimento dei beni culturali e del paesaggio, in cui la storia, l'arte e il patrimonio complessivo della civiltà espressa dalla Sicilia fosse scevro da ogni connotazione di rivalsa identitaria, anche solo implicita, e fosse indicatore di un percorso, secolare e unico per originalità e ricchezza, del pensiero creativo dei Siciliani, volto a rivelare piuttosto i caratteri universali e costanti dell'essere umano. Ma ho consapevolezza che è un pensiero probabilmente minoritario e, personalmente, nell'essere (anche) in questo minoranza, direi, con tutto il rispetto dovuto alla Fonte, che 'ho combattuto la buona battaglia' ma 'ho terminato la mia corsa'.