L’Oreto, un fiume morto

Se la speranza è l'ultima a morire, speriamo almeno che i nostri giovani riescano a vedere dei risultati

MONREALE, 12 marzo - Un fiume morto a chi può giovare? Certo non alla qualità dei terreni limitrofi. Non alla vita della flora e della fauna, la sola che possa permettere un equilibrio ecologico adeguato e la rigogliosità delle sue sponde. Non agli abitanti del luogo, costretti a respirare l’area putrida e malsana delle fogne che di continuo versano, nel suo letto, il loro liquame. E non parliamo dell’estate quando le piogge scarseggiano e spira un forte vento di scirocco.

E’ proprio allora che, il fiume in secca, fa affiorare tutta la negatività di quanto riversato mentre gli insetti la fanno da padroni, mi domando: - A quale civiltà ci possiamo paragonare se non siamo ancora in grado di salvaguardare quanto di più importante l'uomo ha bisogno per la sua sopravvivenza?
Un fiume è vita per il territorio. Uccidere la vita e ciò che di più sacro vi è in essa, mi fa dubitare dell'intelligenza di chi ci governa. A quale degrado dobbiamo ancora arrivare per risvegliare le coscienze di chi ha il dovere e gli strumenti per risolvere questi gravissimi problemi? Sembra quasi impossibile ma, proprio allora, quando il disagio e lo sconforto si fanno più intensi che vengono in mente i ricordi dei nostri vecchi, il fascino dei loro racconti quando descrivevano e decantavano la vitalità del fiume, la bellezza delle sue limpide acque, le risorse che elargiva a chi, in quei luoghi e in perfetta armonia con esso, viveva di agricoltura senza mai depredarlo.

Lo rispettavano perchè lo consideravano un prezioso dono della natura da salvaguardare e dal quale attingere quel tanto di indispensabile come supporto per la loro semplice economia. Rivoli di tante piccole e grandi sorgenti affluivano nel suo invaso potenziandone la portata. Acque potabili, limpide e cristalline dove le donne si rifornivano con le “quartare” per il fabbisogno quotidiano, dove si mettevano a rinfrescare vino ed angurie per il pranzo dove andare a risciacquare le bottiglie da esporre al sole per riempirle di salsa casereccia, profumata di basilico, come riserva per l'inverno, dove i bambini sgambettavano per rinfrescarsi dalla calura estiva e si divertivano a cacciare con piccoli bastoncini i grossi granchi nascosti sotto i massi o dentro gli argillosi anfratti.

Solo il ricordo riesce a rendere vivo quel fiume nel quale le anguille non trovavano ostacoli né inquinanti per la loro risalita verso la sorgente, luogo ideale a riprodursi per poi ridiscenderlo sino alla foce dell'Oreto, rendendo ricco e popolato il mare che le raccoglieva.
Oggi che il fiume è morto, dove sono scomparse quelle anguille? Dove gracidano le grosse rane, dove i piccoli animaletti che ne filtravano l'acqua e la rendevano ancor più limpida? Dove il dolce e fluttuante suono del suo scorrere dell'acqua? Dove il cinguettio degli uccellini di passa che tranquillamente nidificavano fra i canneti delle sponde? Dove le foglie di paradiso, i capelveneri, le felci, il fruscio condensato dei pioppi? Resta solo il rimpianto di una bellezza violata di un'acqua che costituiva risorse per il territorio contribuendo a potenziare la piccola economia locale quando muoveva le pale dei mulini delle cartiere, quando permetteva di irrigare i rigogliosi orti coltivati lungo le sue sponde. Si! Resta solo il ricordo delle lunghe passeggiate esplorative che tonificavano il corpo ed edificavano lo spirito ed il profumo delle cose passate che inebriavano la memoria di poesia. Possibile che i nostri politici, così bravi a teorizzare, non siamo ancora in grado mdi trovare i modi e gli strumenti legislativi più idonei per risolvere questo annoso problema? Mi domando perchè i fondi della Comunità Europea, destinati al risanamento del territorio non vengano utilizzati anche per ridare vita al nostro vecchio e caro fiume dove ormai zanzare infette, ratti, melme malsane ne caratterizzano la nuova identità?

Se la speranza è l'ultima a morire, spero almeno i nostri giovani riusciranno a vedere e godere dei risultati di questo ipotetico risanamento e non siano costretti a dire: - “Stavamo meglio quando stavamo peggio” perchè se la rassegnazione avesse il sopravvento, a che cosa sarebbe servito il progresso tecnologico per semplificare la burocrazia e le pianificazioni dei piani di sviluppo? Quale la sua utilità sociale, se questo progresso fosse limitato a mettere nelle mani dei futuri cittadini nuovi ideali come tablet, telefonini, computer solo per fornire l'ebrezza di un potere digitale effimero e distoglierli dalla presa di coscienza politica. Neutralizzarne il senso critico, infiacchirne la volontà avrebbe infatti lo scopo di addormentarli per non farli interagire, dialetticamente, giuridicamente e democraticamente contro quelle ingiustizie e quegli attacchi che impediscono ad una società di crescere in civiltà.