Era la festa del Crocifisso…

(foto Eliana Pensato)

La processione del Santissimo Crocifisso nell’anno del Giubileo 2000 vista con gli occhi di un marinese d’eccezione: Onofrio Sanicola

MONREALE, 28 maggio – Riordinando le carte del mio archivio, mi capita sovente di imbattermi in fogli, dove ho riportato pensieri e riflessioni vari, ritagli di giornali e riviste; ed è proprio in una pagina del periodico “Il Guglielmo” che ritrovo il suggestivo racconto della processione del S.S. Crocifisso a firma del compianto Onofrio Sanicola.

Sanicola lo ricordiamo, per più di vent’anni, insieme a Enzo Rossi ha tenuto viva la tradizione dell’Opera dei Pupi nel Teatro “Guglielmo” al Sacro Cuore in via Benedetto D’Acquisto a Monreale.
Onofrio Sanicola viveva spesso a Monreale anche per periodi relativamente lunghi, venendo a contatto con gli ambienti culturali del luogo aveva assorbito e nello stesso tempo inciso positivamente con la sua attività di teatrante e di animatore culturale.
Attento osservatore degli usi e costumi della città che lo ospitava, non poteva certo sfuggirci l’evento religioso-popolare della festa del S.S. Crocifisso, che si celebra il 3 di Maggio.
Riportiamo di seguito il suo racconto della processione del venerato simulacro dell’edizione giubilare dell’anno 2000, dove sacro e profano si mescolano sapientemente.  Miracolo a Monreale il titolo scelto dall’autore.

“Avevo ben motivo di partecipare alla processione del Santissimo Crocifisso. Avevo ben motivo di addobbare non uno ma ben dieci balconi con fiori e coperte. Avevo ben motivo di chiedere “ai fratelli” la sosta per grazia da ricevere.
Arrivo alla Collegiata stracolma di gente, vedo Guglielmo Li Manni che scampanella forsennatamente. “E che bedda sta jurnata, nostru patri fa a so strata! Grazia patruzzu amurusu! Grazia!” Dalla vara dirige i fratelli durante la discesa.
Capo asta è Giuseppe Madonia che spinge all’indietro, mentre Nino Marchese tira i suoi da dietro. Quando inizia la processione ci sono anche le autorità e tutto procede secondo la tradizione. Ciascuno ha un ruolo preciso. Le regole sono sempre le stesse.
“Cinque piaghe e quattru rosi, Gesù Cristu cà ni vosi! Grazia patruzzu amurusu! Grazia!”
Ormai la situazione era tesa, quasi allo scontro. Certamente ne sarei uscito con le ossa rotte.
Alimenti, figli a scuola, mutuo da pagare.
Avevo ben motivo di partecipare alla processione del S.S. Crocifisso e chiedere la mia grazia. La voce possente di Domenico Massaro da cinquantadue anni al servizio del Crocifisso, mi sveglia dai miei pensieri. Mentre il suo gruppo risponde con voce sicura e implorante “Grazia,” la noto tra un mare di gente.

È dall’altro lato della strada, non eravamo ancora arrivati al pozzillo e proprio lì la osservo che guarda con gli occhi rossi, questa statua di legno che ha sbancato televisioni e megaconcerti. La guardo mentre il rito della processione avanza cadenzato dai canti e dalle grida dei fratelli. “Chi su beddi sti quattru ciuri pirdunatici o signuri! Grazia Patruzzu amurusu!” tuona nuovamente Domenico Massaro. “Grazia” grido anch’io questa volta unendomi al coro. Arrivati al fasuni u carritteri avviene la sosta. Lì ci perdiamo di vista, la cerco fra centinaia di persone mentre le autorità, precedute da bandiere, gonfaloni e banda musicale formano un corteo e se ne vanno.
Da questo momento la gente si appropria della processione. Fede, devozione e tradizione diventano protagonisti. Passiamo la biviratura e qui che la rivedo, proprio al piano di lu piatusu che guarda la valle, dove tanti disgraziati venivano giustiziati con l’impiccagione, il Crocifisso benedice la valle mentre Massaro grida: “E nostru patri benedici li campagni! Grazia.”
La sosta al piano di lu piatusu mi commuove e anche i suoi occhi sono umidi. A la scinnuta di lu Signuri ci troviamo fianco a fianco. La folla ondeggia, la musica diventa incalzante, la musica intona l’orientale e il Crocifisso è su un dislivello. I fratelli si sono disposti, quelli alti davanti e quelli più bassi dietro. Madonia spinge, sollecita, esorta, alza l’asta. Marchese da dietro tira i suoi, punta i piedi, incoraggia, grida di non mollare, di non cedere, di trattenere di abbassare.

I fratelli tengono in sospeso il Crocifisso senza cedere di un millimetro, i volti tesi nello sforzo. Non si può posare la vara nella discesa. Le aste devono essere orizzontali altrimenti il Crocifisso rischia di cadere. È il momento in cui i fratelli si sentono veramente fratelli. Nessuno cede. Ognuno fa a gara per sostenere l’altro, si cerca un centimetro di asta dove poggiare una spalla, una mano, per evitare che accada quello che non è mai accaduto. Uno è sfinito e viene portato via, ma subito altri due fanno a gara per sostituirlo.
La banda riprende a suonare e la vara riprende il suo cammino lento e sicuro verso la discesa, il punto più critico è stato superato. “E che bedda sta sacra testa che è di spini incurunata, oggi ca è a vostra festa va girannu pi la strata. Grazia.” Questa volta è il figlio di Massaro ad avviare il grido di preghiera. All’inizio della strata granni la vara si ferma, non ci sono né grida né preghiere, mi associo al silenzio e chiudo gli occhi. La processione è appena passata, il Crocifisso è quasi al bagghiu.

Come d’incanto mi ritrovo oltre oceano, sento il fratello che dà il grido e si apre un varco attraverso la folla verso un negozio. Sembra una scena artificiale, ma invece è uno degli atti più belli che concede la confraternita. Una anziana donna ha il telefono in mano e lo indirizza verso la vara gridando il nome del figlio a cui il coro risponde con voce ancora più alta. Era il grido di una madre che vuole che la voce del Crocifisso arrivi a suo figlio emigrato oltre oceano.
Ho una fitta al cuore e senza accorgermene le ho preso la mano, sembriamo due fidanzati.
Siamo quasi in piazza, il corteo si va assottigliando, un vicino mi racconta di quando la processione con la vara marciò a ritroso, non potendosi girare per sostare davanti la porta di una ragazza malata terminale. E lì a tutti sembrò che il crocifisso stendesse una mano per portarsela in cielo.

Le tengo la mano sempre più stretta, mentre la processione si dirige in via D’Acquisto, dove fuori dal Sacro Cuore davanti il Teatrino dei Pupi è esposto un dipinto del Crocifisso di cinque metri per quattro. Percorsa la via Palermo la processione arriva in piazza e lì la macchina dei fuochi prende il via. Il cielo si illumina di scintille e di colori, li inseguiamo a uno a uno e alla fine della masculiata mi avvicino al fratello anziano capo asta e sto per chiedere una rosa. Lui mi fissa con uno sguardo fra il rimprovero e lo stanco, ed è allora che mi viene in soccorso Domenico Massaro che grida rivolto al suo gruppo: chi su beddi sti quattru ciuri pirdunatici oh Signuri! Grazia Patruzzu amurusu! Grazia!

Tendo la mano e ricevo la rosa cui tenevo tanto. È rosso sangue, intensa con i petali a calice, appena aperti come fossero bicchieri granati di Boemia, uno dentro l’altro. Avevo vinto! Finalmente avevo avuto la mia rosa. Nella confusione che segue, fra la gente che entra in cattedrale e quella che va a casa, ci perdiamo nuovamente e a nulla vale cercarla.
Infine mi rassegno. A quest’ora è meglio andare a dormine, pensando che il giorno dopo ricomincia il lavoro. A casa mi ritornano di colpo pensieri e preoccupazioni.
“Non accendere la luce, ho una sorpresa per te!” le dico. “Anch’io ho una sorpresa per te! Risponde mia moglie.
“Ti ho vista alla processione, tenevi per mano una che ti guardava negli occhi.” “Si è vero. Anch’io ti ho visto alla processione, stretta ad uno che non ti mollava un minuto.”
“Ecco, ti ho portato una rosa benedetta.” “Anch’io ti ho portato una rosa.”
“Ma dove sei finita? Non ti trovavo più. “A prendere la rosa.”
“Anch’io” rispondo accendendo la luce per guardare quegli occhi, che ora mi sembrano più belli e luminosi.