Il caprone Angelino

Un altro aneddoto tratto dal libro "Paramutia"

Questa favola, carissimi bambini, l’ho dedicata al mio papà Titì, un vero fantasista di favole. Mio padre, Una ne pensava e cento uno le realizzava compiutamente, nell’ambito quotidiano della sua vita trascorsa in campagna (Contrada Ponte Parco) fino al 1963.

Mio padre nel 1959 adottò un caprone e lo chiamò “Angelino”. Conoscendo a memoria mio padre e la sua fantasia sfrenata, l’adozione del caprone mi puzzò lontano un miglio. Sicuramente mio padre voleva usare ed utilizzare il caprone per vendicarsi di qualcuno in famiglia. Nelle more, l’umile caprone “Angelino” cresceva e crescevano anche le sue corna pericolose. Cari bambini, i caproni hanno sulla fronte un paio di corna, un’arma letale per mettere a tappeto chicchessia. Angelino, educato malamente da mio padre, imparò subito il segreto della sua arma letale e la perfezionò di giorno in giorno, prendendo a cornate tutte le giare di mio nonno Totò, padre di mio padre. Le giare di mio nonno erano ripiene di olio d’oliva ed erano collocate nella cantina della nostra casa di campagna, dove mio padre amava dormire e trascorrere il suo tempo di non lavoro.

Nella cantina c’era un tavolo di legno robusto, dove mio nonno amava posare la frutta di stagione, raccolta nel suo terreno agricolo. Mio padre aveva ammaestrato Angelino alla perfezione; lo liberava dalla stalla dove Angelino trascorreva la sua giornata e lo guidava in cantina. Non appena Angelino arrivava presso il tavolo della frutta, mio padre, con un comando convenzionale, lo caricava per l’assalto contro le giare dell’olio. Mio padre urlava “Crapùng” ed Angelino passando sotto il tavolo, incappava nella corsa ad ostacoli della sua vita. In effetti Angelino restava imprigionato, causa le corna, sotto il tavolo e nella smania di liberarsi utilizzava tutte le sue forze fisiche per liberarsi dall’infame trappola. Risultato finale: Quando Angelino riusciva a liberarsi con uno sforzo titanico, impattava contro la prima giara di olio d’oliva collocata nelle vicinanze. Mio nonno Totò tentò diverse volte di far fuori Angelino sparandogli con il suo fedelissimo fucile. Angelino era un caprone fortunato ed eludeva sempre i micidiali colpi dell’arma implacabile di mio nonno.

Per riparare ai danni operati, Angelino nel periodo della raccolta dei limoni si metteva a disposizione di mio nonno(mio padre complice) caricandosi sulle corna robuste i panieri ripieni di limoni e nelle nuove mansioni di operaio specializzato, con fare alacre, li depositava presso il casale di famiglia, centro multifunzionale di raccolta di agrumi, frutta, e tutti i prodotti della nostra campagna. Mio nonno, taccagno, si sentiva ripagato dall’operosità del caprone Angelino e cominciò a volerlo bene. Angelino, ostinato e vendicativo, non aveva dimenticato le fucilate di nonno Totò e meditava vendetta suprema. Mio padre, ghignazzando, accarezzava il suo agognato ruolo di regista nella trappola da tendere al padre per fare scatenare la furia vendicativa del caprone Angelino. L’atroce vendetta si sarebbe consumata in aperta campagna, nei pressi di un albero di fico stagionato. Mio nonno odiava fare i suoi delicati bisogni nel vaso da notte ed aveva adottato e scelto il vecchio albero di fico, come sede ideale per i suoi scarichi puzzolenti. Mio padre, da cronometrista consumato, aveva studiato alla perfezione gli orari abitudinari, in cui nonno Totò si recava all’appuntamento con le sue esigenze fisiologiche.

Nel corso di una giornata soleggiata di settembre, alle 11,30 in punto, mio nonno si recò nel luogo preferito dei suoi bisogni; si abbassò i pantaloni e le mutande, cantando sottovoce una nenia natalizia. Mio padre aveva legato il caprone Angelino con una corda sottile, per condurlo sul luogo del misfatto e della grande vendetta. Non appena mio padre si rese conto che era arrivato il momento clou ed operativo della scena madre, slegò Angelino e profferì l’ordine di carica. Angelino non ci pensò due volte e caricò mio nonno, con le sue corna ramificate, sul sedere. Mio nonno cadde supino su i suoi escrementi e svenne a causa della violenta carica del caprone. Mio padre ed Angelino fuggirono via di corsa, cercando un rifugio sicuro per la salvezza. Sapevano entrambi che li attendeva, senza sconti, l’ira funesta e vendicativa del nonno. Nella giornata successiva al misfatto, ebbe inizio la vendetta. Mentre mio padre s’intratteneva rilassato con gli operai per la pausa pranzo ed aveva al suo seguito il fedele caprone, piombò sulla scena mio nonno, armato di corde. Agli ordini di mio nonno, gli operai legarono mio padre ed Angelino e li fecero precipitare nella profonda vasca d’irrigazione, limacciosa e senza via d’uscita. Le urla di mio padre spaccarono l’acustica della silenziosa campagna.

Mia nonna Giovanna, percependo la voce ed il pericolo del figlio, si precipitò sul luogo del misfatto ed intimò agli operai di soccorrere il figlio ed il caprone. Per fortuna, tutto finì a tarallucci e vino! Da quel giorno regnò la pace tra mio padre, mio nonno ed il caprone Angelino.

 

 

DAL LIBRO PARAMUTIA 2017 BY SALVINO CAPUTO _(c) Copyright e Tutti i diritti riservati ISBN E SIAE