Il mito di Efesto, dio onesto... e cornificato!

MITOLOGICA-MENTE: gli inciuci tra Ares e Afrodite, la vendetta del marito e gli dèi che se la ridono

MONREALE, 18 aprile – Ammettiamolo tutti e strappiamo via subito il dente che tanto duole ma che sempre ignoriamo. Chi è che non ha mai sospettato della sincera fedeltà del proprio partner? Inutile nascondersi dietro un dito. E chi finge ostentando sicurezza beh... o è stolto oppure è bravissimo a mentire.

Chi non è mai rimasto lì, sdraiato sul letto a fissare il soffitto e a bruciare di gelosia per colei (o colui) che sommessamente vi respira di fianco? Magari per un messaggino sospetto, quell'occhiatina fugace e maliziosa, un cellulare che scivola troppo rapido in fondo alla tasca proprio mentre vi state avvicinando e quei 'no amore è solo il gruppo del calcetto'.
Che bello che è il mito! Immaginate soltanto che uomini e donne come voi avessero questi stessi pensieri migliaia e migliaia di anni fa. Immaginate i mariti turbati dai sorrisi languidi delle proprie consorti. Le orecchie di queste appoggiate alla parete, ad ascoltare ogni parola dei mariti, in cerca di indizi che non gli lasciassero scampo da qualsivoglia incriminazioni adulterine. Siamo sempre stati gli stessi, questa è la verità. Secoli di evoluzione che non hanno inficiato tuttavia la nostra capacità di riconoscerci ad ogni epoca, anche se apparentemente distante e remota. Pensate addirittura che i greci (e in special modo quelli cornuti) si riconoscevano tutti nel dio cornuto per eccellenza, Efesto – lo storpio fabbro degli dèi dell'Olimpo. E fermatevi per un attimo – vi prego - a riflettere su quanta straordinaria e disarmante bellezza ci fosse in questo prototipo di divinità alla quale affidare i sospiri notturni della gelosia e le angosce del tradimento saltato alla luce. Un dio del quale si potesse anche prendersi gioco e ridere. Del resto la risata, esattamente come il pianto, era un dono degli dèi. Perché dunque concedergli in offerta solo tristi lamenti e preghiere? Ogni tanto una sana e grassa risata valeva più di mille litanìe.

Efesto era brutto. Ma brutto per davvero e – poveraccio – nemmeno per colpa sua. Erano stati i suoi genitori a scaraventarlo via dalla cima dell'Olimpo, Zeus ed Era, quando era ancora solo un bambino! Ogni racconto antico ha dato le sue risposte sul perché di tanta rabbia verso un figlio. Ma poco importa, perché Efesto comunque – battendo al suolo – si ruppe entrambe le gambe. Ecco perché in ogni raffigurazione artistica, Efesto è sempre accompagnato dal suo bastone. Zoppo, rozzo, uno zoticone abbandonato dalla sua stessa famiglia perché deforme (troppo per stare in mezzo agli dèi perfetti), dedito solo al suo lavoro di fabbro, nella sua fucina afosa e asfissiante, impregnata del puzzo aspro del suo sudore. Efesto però faceva dell'onestà la sua qualità migliore. Insomma era uno che noi siciliani definiremmo massàro, sempre pronto a calarsi – con la testa bassa – al suo lavoro. E in quello era di certo il migliore. I manufatti che fuoriuscivano dalla sua fucina erano tra i più pregiati mai visti. Ed Efesto era invidiatissimo dagli altri dèi, nonostante fosse un reietto. Cosa si poteva mai invidiare a un villano fuligginoso, vi chiederete? La moglie. Niente di meno che la raggiante e superba Afrodite, la dea della bellezza in persona. Ma come farà quel cioccolatino così prelibato a dormire accanto a quello sputo puzzoso! Gli altri dei non si davano pace e in fondo – ammettiamolo – non lo pensiamo anche noi forse quando di una coppia osserviamo solo le differenti bellezze?

Sì, ma Efesto ad Afrodite non l'aveva mica conquistata. Semmai l'aveva acquistata. Era andata così: il fabbro aveva deciso di far pagare alla madre Era quella sua sfuriata, legandola letteralmente al suo trono con degli appositi lacci che nessuno era in grado di sciogliere. Zeus – tra le imprecazioni della sua amata mogliettina – aveva fatto chiamare proprio Efesto, l'unico in grado di liberarla. Io la sciolgo, ma in cambio voglio Afrodite. Mica fesso, il buon fabbro. Peccato che la moglie non fosse poi così tanto fedele. Lo sapevano tutti, lì sull'Olimpo. Era il gossip del momento: quando Efesto usciva per dirigersi alle sue fucine, Afrodite lasciava che a scivolare dentro il suo letto fosse Ares, il dio della violenza, della furia e della guerra. Non era poi così difficile immaginare quali fossero le fantasìe di quella ninfomane di Afrodite. Il povero Efesto non sapeva niente del suo bel paio di corna. La sera tornava a casa e Afrodite era sempre lì, imperturbabile. Ad avvisare Efesto che qualcosa di strano stava succedendo alle sue spalle fu il Sole, colui che tutto vede. Lo fanno addirittura sul tuo letto! Efesto era impietrito, la gelosia l'aveva reso una statua incapace di movimento. Ma sotto sotto al suo animo buono e onesto stava già covando vendetta (Non c'è cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo diceva il grande Bud Spencer).

Fu così che impugnò il suo martello e battendo con tutta la rabbia che aveva in corpo sull'incudine forgiò una catena sottilissima ma infrangibile. La legò al soffitto, proprio sopra il letto dove l'adulterio puntualmente si consumava. Sarebbe bastato un attimo e i due amanti si sarebbero ritrovati intrappolati. E così avvenne. Proprio mentre Ares e Afrodite godevano barbaramente del proprio amore la catena si innescò, immobilizzandoli nudi proprio sul letto. Le imprecazioni di Efesto – intanto sopraggiunto nella camera – le sentirono tutti gli dèi, che infatti si precipitarono di corsa a vedere. Non si volevano di certo perdere uno spettacolo del genere. Il buon fabbro era livido di rabbia, i due amanti si dimenavano in cerca della fuga – vergognandosi di quel tranello. E in questo marasma generale, tutti gli altri dèi scoppiarono in una risata che non poté più avere fine. Ridevano di Efesto, delle corna che la cara consorte puntualmente gli faceva, di Ares così virile eppure così sciocco nel cascare all'inganno e di Afrodite, la cui fame di sesso ancora una volta aveva causato danni.

Cari Efesti (o presunti tali) del ventunesimo secolo, io questa storia l'ho raccontata solo per allietare una domenica qualunque. Se guardandovi in controluce vedrete qualcosa che si allunga, nell'ombra, proprio sopra la vostra testa e se sotto sotto anche voi state fabbricando la vostra catena, vi avverto: non voglio responsabilità!