Treno di notte per Lisbona

Treno di notte per Lisbona

Di Pascal Mercier

Chi siamo veramente? Tutti abbiamo conosciuto certamente tante persone assolutamente “prevedibili”, sempre uguali a se stesse. Eppure, in ognuno di noi esiste una moltitudine, una “folla di molte specie che pensa e sente in modo diverso” (Pessoa, Livro do desassossego, 1932).

Raimund Gregorius insegna al liceo classico di Berna ed è un erudito, specialista in greco, latino ed ebraico. Abitudinario all’ossessione, egli percorre le vie di Berna sempre allo stesso modo, alle stesse ore e vive interamente assorbito dal suo mondo fatto di scritti classici e di studi filologici.

Un giorno d’inverno, per caso, egli salva dal suicidio una giovane donna che sta per buttarsi nell’Aar dal ponte di Kirchenfeld, che conduce al liceo. La salva agendo d’istinto e in un breve dialogo le chiede: “Qual è la sua madrelingua?”. Lei risponde: “Português”.

Abituato ad amare le parole, l’erudito s’innamora immensamente del suono di quell’unica parola magica e breve che nella sua percezione permane molto più a lungo di quanto fosse durata in realtà e s’infiltra misteriosamente nel tempio delle parole che in tanti anni con disciplina e dedizione Gregorius ha costruito dentro di sé.

La ragazza è tutta bagnata di pioggia e chiede di seguirlo dove andrà lui che sta, per l’appunto, recandosi a scuola. Gli alunni non credono ai propri occhi nel vedere “il papiro” (così lo chiamano per la sua pedanteria e la sua straordinaria cultura classica) accompagnato da una donna pallida e scarmigliata la quale chiede di sedersi in fondo all’aula, ma, prima del suono della campana dell’intervallo, la donna si avvia alla porta, richiudendola dietro di sé, dopo aver fatto cenno a Gregorius con l’indice sulle labbra.

Da qui scatta la vicenda meravigliosa, poetica e imprevedibile che porta Raimund Grgorius inizialmente presso una splendida libreria di Berna dove un libraio che lo conosce bene gli regala un libro che sarà il filo conduttore di tutto il romanzo. Il libro si intitola: “L’orafo delle parole” ed è stato scritto a Lisbona nel 1975 da Amadeu Inacio De Almeida Prado.

Si rimane imbambolati già dalle prime parole del libro che vengono lette in portoghese dal coltissimo e abilissimo libraio e, idealmente, anche noi vogliamo subito andare a Lisbona, perché ci identifichiamo nelle riflessioni così nuove e così vere, che ci sembrano pensate per ciascuno di noi. Perciò, quando Gregorius prende la sua decisione (inaspettata più del “no” della monaca di Monza) di prendere il treno per Lisbona non ci meravigliamo e vogliamo anche noi, con Gregorius, incontrare l’autore Amadeu Prado, per sapere come fa a conoscere così bene tutti noi.

La Lisbona di cui parla Amadeu Prado è quella del regime di Salazar, prima della rivoluzione dei garofani, una città più malinconica, più tragica e più umana che mai. Conosciamo, quindi i compagni di Amadeu, anch’essi, come lui, membri attivi della Resistenza, a uno dei quali, pianista che aveva suonato Schubert, gli sgherri del regime hanno spezzato le mani.

Conosciamo la donna che, per la sua memoria di ferro, era per i compagni un riferimento e un tramite e di cui Amadeu si innamora perdutamente; conosciamo il farmacista a cui Amadeu, di famiglia ricchissima, ha regalato la farmacia per amicizia, sfortunatamente anch’egli innamorato della stessa donna; conosciamo anche Mendes, il boia di Lisbona cui Amadeu, medico, una notte salva la vita.

C’è dunque il senso di colpa, del tradimento della Resistenza e il voler mettersi al servizio di essa, con dedizione assoluta. Ci sono indimenticabili riflessioni sulla lealtà e sull’amicizia. C’è il controverso rapporto col padre, rapporto di stima reciproca taciuta e di tenerezza soffocata, affidata a lettere postume; c’è l’atteggiamento cristallizzato della sorella Adriana, un giorno salvata da lui a tavola e sempre legata a lui da gratitudine ancillare; c’è la figura del vecchio insegnante, sacerdote che capì subito la superiorità del ragazzo che la scuola aveva fra i suoi allievi.

C’è, soprattutto, l’allocuzione che Amadeu pronuncia il giorno del suo diploma di maturità: vero e proprio manifesto del “prete ateo”, elegantissima e appassionata dissertazione sul valore e sul significato della religione, della preghiera, della bellezza, della curiosità, della conoscenza, della libertà e di tutti i valori più alti dell’esistenza. Il romanzo afferma che Gregorius lesse tre volte questa allocuzione.

Ebbene, anche noi la leggeremo più volte per la sua bellezza e per la sua nobiltà e la vivremo come lo sventolare di una bandiera che dà significato alla vita scelta istante per istante di contro a un susseguirsi di eventi senza sapore e accettato passivamente.

La prosa è splendida, l’argomento è storico-filosofico, il contesto è avvincente, ma ciò che più conta è che la lettura ci apparirà un distillato di poesia e uno sguardo d’insieme sulla moltitudine che è in ognuno di noi. Imperdibile.

Rosa La Rosa

Treno di notte per Lisbona
di Pascal Mercier

Editore: Oscar Mondadori