La rivoluzione dimenticata

La rivoluzione dimenticata

Di Lucio Russo

Mi ero spesso chiesta come mai nel terzo secolo a.C. esistessero scienziati del calibro di Euclide, Archimede, Aristarco, Eratostene, Erofilo, Ipparco e altri e nella Roma imperiale non ci fossero poi scienziati della stessa levatura? Per non parlare del Medio Evo!

Come mai Eratostene misura la circonferenza terrestre nel terzo secolo a.C. e Cristoforo Colombo deve vivere la sua Odissea in età moderna per dimostrare la sfericità della Terra? Perché a scuola ci hanno sempre detto che il periodo alessandrino è un periodo di decadenza rispetto ai due secoli precedenti, quelli di Socrate, Platone, Aristotele?

Non è forse in età alessandrina che operano gli scienziati che abbiamo ricordato? Il faro di Alessandria, che proietta la sua luce a 50 km di distanza non è forse una delle sette meraviglie del mondo antico?

Se a scuola studiamo ancora la matematica di Euclide, le coniche di Apollonio, il principio di Archimede e molto altro della scienza ellenistica, come si può parlare di periodo di decadenza? Forse questo modo di guardare alla storia greca è figlio della nefasta separazione delle “due culture”, umanistica e scientifica, che ha tanto contrassegnato e mortificato la scuola italiana?

Il libro, dedicato a una rivoluzione dimenticata, è una rivoluzione in sé che non mancherà di suscitare polemiche e reazioni vivacissime nel mondo accademico e intellettuale in generale, perché, nel suo retrodatare la nascita della scienza moderna di duemila anni, automaticamente ridimensiona, pur senza sminuirle, figure del calibro di Copernico, Galilei, Newton, mostri sacri della nostra adolescenza e punti di riferimento nel nostro insegnamento delle scienze alle nuove generazioni. Lucio Russo ci mostra la portata scientifica non solo dei due geni più famosi del terzo secolo a.C., ossia Euclide e Archimede, ma ci presenta Erofilo (in pochi lo conoscono), fondatore della medicina moderna; Eratostene, misuratore del meridiano terrestre; Aristarco di Samo, ideatore della prima teoria eliocentrica; Ipparco, fondatore della dinamica e della teoria della gravitazione; Ctesibio, raffinatissimo costruttore di strumenti meccanici e idraulici; Crisippo, naturalista e filosofo e molti altri.

La domanda sorge spontanea: perché i Romani, così concreti e avidi di potere, non approfittarono delle conquiste scientifiche dell’epoca alessandrina, perché non le svilupparono a proprio vantaggio? Anzitutto i Romani distruggono proprio nel terzo secolo gli stati ellenistici, cominciando con Siracusa (uccisione di Archimede 212), falcidiano la classe intellettuale di Alessandria nel 146 e 145 e distruggono Corinto nel 146. Il che comporta un periodo di oscurantismo e certamente di crisi della ricerca scientifica.

Quando, poi, in epoca imperiale, la classe intellettuale romana si rende conto della superiorità culturale del mondo greco, comincia la frequentazione degli intellettuali greci deportati come schiavi nelle case patrizie, insieme con molte opere d’arte e molti libri. “Grecia capta ferum victorem cepit”, ci hanno insegnato. Ma è passato troppo tempo e perfino scrittori del livello di Plinio e Seneca non riescono più a seguire la scientificità delle argomentazioni e si limitano a suscitare stupore nei lettori con conclusioni frutto di interpretazioni assolutamente arbitrarie dei testi ellenistici.

E’ parlante l’esempio di Plinio che descrive la vita delle api, affermando che le cellette delle arnie sono esagonali, perché ogni lato dell’esagono è costruito da una delle sei zampette delle api. Affermazione orripilante, se paragonata al testo di Pappo (scienziato alessandrino) che Plinio conosce, ma non sa comprendere, il quale afferma correttamente, basandosi sui testi ellenistici, che l’esagono, fra tutti i poligoni regolari con cui si può pavimentare un piano, è quello che presenta il massimo rapporto area/perimetro, il che consente alle api di ottimizzare il lavoro, perché producono la minima quantità di cera per conservare la massima quantità di miele.

Evidentemente Plinio non è in grado di comprendere il senso della rigorosa argomentazione scientifica riportata da Pappo e stiamo parlando di uno dei massimi esponenti della classe intellettuale romana. Ma c’è di più: con la conquista romana, cessa il rapporto tipicamente greco fra scienza e potere. I sovrani ellenistici usarono la scienza come strumento di potere, mentre i Romani utilizzano l’esercito e il diritto.

Mentre dal porto di Alessandria, nel terzo e secondo secolo, ma anche durante i primi secoli della dominazione romana, partono ogni giorno navi dirette in tutto il mondo allora conosciuto piene di farmaci, unguenti, profumi, coloranti, tessuti, oggetti di vetro, carta di papiro, ed altri oggetti di alto contenuto tecnologico, dal porto di Ostia non parte praticamente nulla, mentre allo stesso porto approdano navi piene di ogni genere di mercanzia da tutto l’impero.

Una delle conseguenze di questo squilibrato interscambio è che la schiavitù nella società ellenistica è relegata all’ambito domestico, mentre a Roma vi è in tutta l’età imperiale un altissimo tasso di disoccupazione che favorisce la schiavitù a tutti i livelli, soprattutto per i lavori pubblici. Scienza-tecnologia-economia costituiscono ad Alessandria un circolo virtuoso, mentre a Roma domina l’estraneità alla cultura scientifica che determina la natura parassitaria della sua economia.

Non è strano, quindi, che la maggior parte degli scritti originali degli scienziati alessandrini sia andata perduta e che, quando gli studiosi dell’età imperiale riprendono i testi rinvenuti, non sono già più in grado di comprendere gli algoritmi, i calcoli e i ragionamenti e di riproporre gli esperimenti descritti dagli scienziati ellenistici. Quindi non solo abbiamo perduto i testi, ma gli studi posteriori ce ne danno un’idea sbagliata.

Ma la rimozione dell’ellenismo è legata anche al fatto che la maggior parte degli studiosi che si occupano dell’antichità, già dal Medio Evo e all’inizio dell’Età Moderna, appartiene all’area della cultura umanistica e dunque manca degli strumenti culturali per analizzare criticamente i testi rimasti e quindi ha attribuito ai grandi pensatori dell’età ellenistica il livello basso degli scritti dei loro divulgatori di epoca posteriore, spesso incompetenti.

La scienza moderna nasce, secondo Russo, dal riappropriarsi di conoscenze riportate alla luce dal ritrovamento di manoscritti greci, arabi e bizantini che entravano in Italia per il crescente flusso di traffici commerciali e culturali. Russo parla degli intellettuali del Rinascimento come di “bambini intelligenti e curiosi che entrano per la prima volta in una biblioteca … attratti dai manoscritti con disegni come le dissezioni anatomiche, la prospettiva, gli ingranaggi, le macchine pneumatiche …” Ci sembra di vedere Leonardo da Vinci consultare manoscritti ellenistici, come le opere di Archimede e progettare i suoi eccelsi disegni di macchine e di opere, generalmente irrealizzabili ai suoi tempi per mancanza di adeguata tecnologia.

Evidentemente, la tecnologia dell’età ellenistica era stata ben più avanzata di quella di cui poteva fruire Leonardo. E’ spontaneo pensare che, come è successo nei secoli passati, la cancellazione di studi e scoperte scientifiche può ancora accadere, perché la divulgazione scientifica seria svolge un compito ingrato e antientropico di fissare le idee, farle conoscere al grande pubblico e stimolare la crescita della conoscenza scientifica attraverso la scuola, la TV, internet, la stampa, i simposi, le pubblicazioni.

Ma, come afferma l’Autore nell’amaro epilogo, la diffusione della cultura scientifica richiede impegno e scelte impopolari e l’irrazionalismo è sempre in agguato e lo dice “la profonda trasformazione del ruolo sociale della scienza, che si sposta sempre più dalla produzione al consumo.” Russo ricorda, infine, “l’esodo degli scienziati dall’ex Unione Sovietica, che ha annientato istantaneamente una delle scuole scientifiche più prestigiose del ventesimo secolo e l’inizio della “caccia allo scienziato” negli USA: due eventi con strette e sinistre analogie nella storia antica.”

Rosa La Rosa

La rivoluzione dimenticata
di Lucio Russo

Editore: Universale economica Feltrinelli