Palermo lattificata

Di Carlo De Belli

Avere tra le mani un gioiello fa sempre trepidare ed emozionare. Ma leggere questo libro ci sospende e ci isola dal mondo in una goduria molto simile a quella di chi consuma un cibo prelibato dopo anni di desiderio e di astinenza. Si tratta di un testo tratto da Internet e stampato nel 1865 dalla tipografia Baglione di Torino.

Ma, ovviamente, esso ha subito un lavoro amorevole di editing per la correzione dei refusi, per l’adeguamento alle attuali regole ortografiche e un cambiamento di stile tipografico per renderne agevole la lettura anche al lettore del 2017.Carlo De Belli, autore, nonché voce narrante del racconto, arriva a Palermo da Casalecchio, in Emilia, per motivi di salute. Il viaggio è già un tormento e la descrizione umoristica delle difficoltà e delle sofferenze a esso connesse ha la funzione di riportarci all’epoca storica in cui si svolgono i fatti: quella subito dopo l’unità d’Italia.

Mentre oggi, infatti, ci spostiamo senza esitazione su e giù per l’Italia, non era così quando occorreva prima raggiungere Genova, imbarcarsi e fare scalo a Livorno, reimbarcarsi e sostare a Napoli e infine sbarcare a Palermo con battelli che non sempre garantivano il massimo del confort, specie in caso di mare mosso. Arriva, dunque, stremato Carlo De Belli all’hotel Trinacria, sito in via Butera che già ci appare come un angolo di paradiso. Si può dire, a tal proposito, che uno dei pregi principali di questo libro è quello di suscitare nel lettore la curiosità per una Palermo quale appariva al visitatore del 1865.

Viene voglia di uscire a piedi, rivedere il Cassaro, anzi, il Toledo, e spingersi fino a piazza Marina, non senza sostare a piazza Bellini, immaginando quanto vivace e frequentato dovesse essere il teatro che era allora il “massimo” teatro della città. A Palermo De Belli incontra l’amico Rimper, facoltoso commerciante, che lo introduce alla “Società di lattificazione”, accolita di riccastri, opportunisti palermitani che hanno elaborato un progetto che prevede di allevare moltissime capre sul monte Pellegrino, di raccoglierne il latte munto e di immetterlo in una rete di distribuzione che servirà l’intera popolazione della città. La rete sarebbe costruita con tubi di ghisa imbiancati interiormente, forniti dalla ditta Rimper.

Va da sé che le spese per lo stabilimento, le centoventimila capre, il muro di cinta di due metri e ventidue, le ventimila campanelle pneumatiche per la mungitura, i tubi di ghisa e le mammelle di caouchouc sarebbero sostenute dal Governo a cui la Società ha già inoltrato domanda per tramite del prefetto. Daltronde, come potrebbe il Governo della Nazione appena unificata rifiutarsi di finanziare un’opera che, come afferma il segretario-relatore, avrà come effetto

  • la pacificazione dei liberi cittadini di Palermo
  • la tranquillità dell’isola
  • il consolidamento dell’unità italiana
  • lo sviluppo di tutte le nazionalità
  • la civilizzazione del mondo?

A prima lettura si rimane interdetti dalla situazione paradossale nella quale un gruppo di avidi disonesti e spregiudicati uomini d’affari propone un’enorme scemenza e pretende di convincere e di coinvolgere non solo altri lestofanti, ma soprattutto onesti creduloni che subito si prenotano per diventare azionisti della Società. Poi, però, ripensando ai successi e ai consensi riscossi dai nostri politici oggi, con molte meno attenuanti circa l’accesso all’informazione attuale, si comprende che è l’enormità stessa del ridicolo a mettere al riparo l’impresa dalle capacità critiche della popolazione.

Condivisibile e lucida è l’analisi della società siciliana del 1865 condotta da Rimper che si dimostra, da vero commerciante, molto sensibile al facile arricchimento, col suo fiuto per gli affari che lo fa trovare al posto giusto al momento giusto, e niente affatto stupido. Egli divide la società in due parti: la prima, più numerosa, che soffre, formata dai carrettieri, dai viandanti, dai postiglioni e dalle loro famiglie. Costoro non sanno nulla e non hanno voce in capitolo.

Quanto alla classe agiata, nonché informata, essa potrebbe far del bene, ma sa che “l’arte di dire la verità è la più ingrata … e di questa gli onesti tacciono, per viversela tranquillamente, ed i meno onesti trovano molto più lucroso il valersi della propria personalità entrando a parte della Società di lattificazione, o di altre simili imprese, le quali fruttano danaro, crema e immortalità.” Come non riconoscere in queste poche righe la spiegazione dei disastri della nostra vita pubblica? L’omertà più grave non è quella di chi sa fatti mafiosi e tace, ma la scelta del quieto vivere rispetto alla legalità.

Quanto a questo, poco è cambiato a Palermo, dove tanti intellettuali di tutte le estrazioni politiche sono sempre più rintanati nei loro rifugi, siano essi case, uffici, scuole, atenei, o nobili associazioni e rifuggono l’agone politico, la denuncia e talvolta perfino l’esercizio del diritto di voto. Ma il pregio maggiore del racconto è senza dubbio la cura del linguaggio, poiché ogni parola è scelta con cura, affetto, cultura e sagacia.

Linguaggio che dà risalto agli accadimenti, alle descrizioni di luoghi e personaggi e soprattutto all’ironia e all’autoironia con cui De Belli ci parla della sua goffa mancata fuga d’amore con la sua bella Annetta, con tacchino spennato sotto braccio e cappello a cilindro ben calcato sul berretto da notte, il tutto, ovviamente, coi pantaloni del pigiama. Davvero, un personaggio a cui ci si affeziona e per il quale, per tante ragioni, si tira un sospiro di sollievo quando lo si vede riprendere la via del mal di mare, per tornare in continente. Non manca la beffarda sorpresa finale affidata a un post scriptum di una lettera dell’amico Rimper. Lettura incantevole!

Rosa La Rosa

Palermo lattificata
di Carlo De Belli

Editore: Labyrinthus