Picciridda, con i piedi nella sabbia (2020)

Film di genere drammatico del 2020, durata 95 minuti, diretto da Paolo Licata, prodotto da Moonlight Pictures - Panoramic Film, Alba Produzioni e distribuito da Satine Film, con Marta Castiglia, Lucia Sardo, Tania Bambaci, Katia Greco, Ileana Rigano, Feerica Sarno, Maurizio Nicolosi e Loredana Marino. Esordio alla regia per il giovane Paolo Licata che, ispirandosi al romanzo Picciridda (Giunti, 2006) di Catena Fiorello – che ha curato la sceneggiatura insieme al regista – attraverso la fotografia di Lorenzo Adorisio e alla scenografia di Paolo Previti, racconta la storia della piccola Lucia, abbandonata nella Favignana degli anni ’60 dai propri genitori i quali, partiti per la Francia alla ricerca di un lavoro, affideranno la loro figlia alla nonna nell’attesa del loro rientro sull’isola, coniugando la pellicola alle musiche di Pericle Odierna.

 Lucia – Marta Castiglia – bambina di soli 11 anni, preferisce nascondersi all’interno di un pollaio ad accarezzare una gallina nera, piuttosto che vedere i propri genitori partire per la Francia in cerca di fortuna, in una terra che, rispetto alla Favignana degli anni ’60, può garantire loro un futuro roseo. A prendersi cura della bambina, “a Picciridda”, sarà la nonna – interpretata magistralmente da Lucia Sardo – Donna Maria – un titolo che sull’isola tende ad indicare il rispetto della persona – dal volto burbero, freddo, privo di qualsiasi emozione ma che, allo stesso tempo, lascia immaginare un passato sicuramente infelice, disposta a tutto pur di proteggere la propria nipote, fino a svendere uno sceccu per mantenerla, nell’attesa di ricevere i soldi da parte di chi, riempiendo una valigia, spera di trovare presto un lavoro, lontano dalla propria terra, dal proprio cuore.
Sugnu granni ormai, a lavorare ci posso venire pure io.
Tu qua devi restare, ca to patri non ce la può fare cu du picciriddi.
Poi inizi la scuola media e non lasci sola la Nonna.
Ma ti pare che noi voglia restare per sempre in Francia?
A Natale siamo qua, te lo prometto.
Amunì, salite. Sennò non ci arrivate a prendere il treno.
È solo per poco tempo. Fino a quando non mettiamo un po’ di soldi da parte. Ti scrivo, anzi, ti chiamo pure col telefono, così sentiamo la voce.
Ci penso io a idda, ora ci passa. Avanti.

Una casa vuota e un letto sul quale distendersi, per stringere tra le mani una giacca di lana, pregna di un profumo che non sentirà per un bel po’, tra le attenzioni di Donna Sarina – la pecoraia – che con i suoi acciacchi e una cicatrice sul volto che fa male allo specchio, tenterà di confortare a Picciridda immersa nella sua tristezza e vittima dei rigidi dettami imposti dalla Nonna, donna autoritaria dagli occhi perfidi, duri come un cucchiaio in legno per infliggere una punizione e scuri come un sigaro da fumare tutte le sere, davanti la propria porta di casa, guardando il cielo, alla fine del giorno. Silenzi, segreti, liti familiari e tante domande da porre per la piccola Lucia, la quale non riesce a comprendere le frizioni che, durante gli anni, hanno portato ad allontanare la Nonna dalla sorella Pina, capace di denigrarla anche dinanzi alla Vergine in processione, mentre una cassa in legno raccoglie le monete deposte dagli speranzosi in cambio di una grazia.
Chiddu chi viristi un ci le diri a nuddu. U capisti? Già parranu assai i mia. Io non ce la faccio più ad essere giudicata da tutti. E poi, chi ci pozzu fari? Anche se è sposato, io a quell’uomo lo amo. Io spero che, un giorno, gli viene il coraggio e ce ne scappiamo insieme. Ma chistu un s’ave a sapiri!
Non glielo vado a dire a nessuno. Te lo giuro.
Lo so che sei una brava picciridda. Mi raccomando.

L’inizio dell’anno scolastico, accompagnerà l’eterno senso di malinconia che vige tra i pensieri di Lucia, impaziente di ascoltare la voce dei propri genitori al telefono mentre passeggia a piedi nudi tra i roventi granelli di sabbia e l’umida battigia, guardano l’orizzonte lontano. Le amicizie tra i banchi di scuola, un Natale che infrange le sue speranze e una terribile vicenda, comporranno il temperamento di una picciridda già pronta a diventare donna, ancor prima che arrivi la tanto attesa estate a sottrarla da quella terra e a portarla dalla sua famiglia, prima di scoprire raccapriccianti verità.
Voglio che ti fai una pelle dura. Io non sono brava a parlare, non l’ho mai fatto con nessuno. Ma non voglio che tu pensi quelle cose brutte di me. Quando ero giovane, ero incinta di 2 mesi. Tuo nonno era già morto.

Una sera, mentre mi ritiravo a casa, un infame, figghiu di buttana, insieme ai suoi amici, mi presero e mi portarono in una baracca. Mi picchiarono forte, ca chiù forte non si può.

Poi uno mi umiliò, e mi prese la dignità. Mi diceva ‘dove guardi? A me devi guardare, guardami’. Se sono stata dura con te, è perché volevo tenerti lontana da quella famiglia, a tutti i costi. Pure a costo di farmi odiare!

Il regista, traduce Il romanzo della scrittrice sul grande schermo attraverso la combinazione di colori e tradizioni autoctone del territorio siciliano, rammentando in più occasioni un linguaggio già espresso dal collega bagherese Giuseppe Tornatore (Nuovo cinema Paradiso, Malena e Baarìa) e restituendo al pubblico un racconto di donne, differenti tra loro – sia anagraficamente che caratterialmente – incentrato prettamente sull’emancipazione femminile, affrontando una tematica alquanto attuale come la migrazione in terre straniere di chi disperatamente è alla ricerca di un impiego e che spesso costringe alla separazione di interi nuclei familiari.

 “Devo fare la valigia.
Ma che premura hai, parti fra 10 giorni.
Giusto prepararla per le cose importanti.
E ricordati che in Francia devi ricominciare tutto da capo, a scrivere, a leggere, a fariti i conti.
Ma non è ca mi ni vaiu pi sempri. Poi d’estate torniamo e ti chiamo tutte le volte che posso. E appena finisce la scuola, spero di tornare pure più spesso.
Quando una spera di fare una cosa, finisce poi che non la fa mai. Tu l’hai detto.
No, ti giuro.
No, non giurare Picciridda, non voglio che torni. Voglio che resti con i tuoi genitori, che studi, che diventi una donna importante, una di quelle che fanno grandi cose. Anzi, meglio che te ne vai, accussì m’arriposu un poco. Quest’anno m’hai fatto disperare!


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