Quel sacerdote ucciso dalla mafia e dimenticato

L’assassinio di don Gaetano Millunzi

“Tutti ritengono che si tratti di un delitto di mafia: forse, con le sue ricerche storiche miranti a rivendicare diritti sulle sorgenti a favore della Mensa arcivescovile, dava fastidio a qualcuno. Ma sulle motivazioni del delitto ed i suoi colpevoli non è stata fatta, né forse si farà mai, piena luce. Del resto, ai delitti di mafia la popolazione era molto assuefatta”: l’ottimo storico Giuseppe Schirò nel 1978 così scriveva riferendosi all’uccisione del canonico Gaetano Millunzi, annotando inoltre che (anche) a quei tempi la mafia “aveva in Monreale uno dei centri più attivi”. Ed in effetti questo spietato assassinio è rimasto avvolto nel mistero ed è stato quasi del tutto dimenticato, anche da parte della stessa Chiesa monrealese.

Stiamo parlando di un tragico episodio che risale a quasi un secolo fa. Sul finire dell’estate del 1920 (era il 13 settembre) il prelato si trovava con alcuni familiari nella sua residenza di villeggiatura, in località Realcelsi, quando - secondo la cronaca riportata all’epoca dal Giornale di Sicilia - fu “fatto segno a tre colpi di arma da fuoco che lo resero immediatamente cadavere”. Nel corso dell’agguato la sorella Stella rimase ferita ad una gamba, per fortuna in maniera non grave. A seguito delle indagini immediatamente avviate dai carabinieri, nei giorni successivi all’assassinio vennero tratti in arresto alcuni sospettati, dei quali tuttavia fu ben presto disposto il rilascio, in quanto le accuse a loro carico non apparivano adeguatamente comprovate.

Il compianto monsignor Francesco Sparacio ha definito don Millunzi “sacerdote esemplare, fine poeta, uomo di lettere, maestro di vita” ed anche “uomo geniale, scrittore ricchissimo dalla cultura vasta e dalle intuizioni acute, dalla sconfinata capacità di essere presente nei diversi campi dello scibile, aperto al ‘sociale’, creatore ed organizzatore di opere di concreto aiuto ai poveri ed ai bisognosi”. A lui si deve, tra l’altro, la fondazione della Cassa Rurale ed Artigiana di Monreale.

Il suo assassinio è rimasto impunito. “La morte del Millunzi - ha affermato il vescovo Giuseppe Petralia - è rimasta sempre misteriosa: certo è, però, che è rimasto vittima del suo coraggio e della sua lealtà. Egli non ammetteva prepotenze, sia nella vita pubblica, sia nelle istituzioni”; e va anche ricordato che era un feroce oppositore della Massoneria (che definiva “setta nefasta”) e che quando era membro dell’amministrazione del Collegio di Maria di Monreale aveva riscontrato all’interno dell’istituto la presenza di “ingerenze mafiose”, a cui si era opposto con estrema e risoluta fermezza. Lo stesso monsignor Petralia ricordava peraltro che il Millunzi aveva subìto “un gravissimo attentato mentre leggeva il suo breviario, in una terrazza del Convitto di Chierici Rossi: gli spararono contro, ma quella volta sfuggì alla morte”.

Dunque, molti elementi e concordanti indizi inducono a ritenere che sia da qualificare come delitto di mafia l’efferato omicidio del canonico Millunzi, che durante tutta la sua esistenza, come ha scritto lo storico Nicola Giordano, “disprezzò i pericoli e non chiuse mai gli occhi dinanzi all’ingiustizia ed alla viltà”. Tutti giustamente riconosciamo l’altissima testimonianza di rettitudine e di impegno sociale che ha condotto don Pino Puglisi all’estremo sacrificio; ma sarebbe probabilmente doveroso riscoprire e valorizzare la figura di questo prete monrealese illuminato ed integerrimo, sottraendolo all’ingiusto ed immeritato oblio.