Amarcord: quando Monreale-Ravanusa finì a pietrate

(foto Giovanna Rossi)

Ricordo di uno degli episodi più tristi della storia del calcio monrealese

MONREALE, 17 giugno – Non una questione di tifo, ma di decenza e di rispetto delle regole: cose che sono clamorosamente venute meno ieri sera nel corso dello spareggio playoff tra Frosinone e Palermo. Palloni in campo, gettati artatamente, tanto dal pubblico che – udite udite – dai giocatori in panchina, atteggiamenti intimidatori, piccole manfrine finalizzate solo a far perdere tempo e ad impedire il regolare svolgimento della partita. Insomma la negazione dello sport, come solo sui campi dilettantistici fino a qualche tempo fa eravamo abituati a vedere, ma non certo in una sfida che metteva in palio un posto in serie A.

E i fatti di ieri sera portano alla mente uno degli episodi più famosi, e purtroppo non edificanti della storia del calcio monrealese, anche se ormai sbiadito nel tempo, legato alle intemperanze del pubblico di casa nostra. Aneddoti di un calcio che (per fortuna) non siamo più abituati a vedere, perlomeno di queste proporzioni.
Era la fine degli anni ’70 (andando solamente a memoria, non riesco, purtroppo a collocare con esattezza la stagione precisa di riferimento) e si giocava una partita attesissima: Monreale-Ravanusa, valevole per il campionato di Promozione. La squadra agrigentina a quel tempo era fra quelle che andavano per la maggiore, tanto da vincere pure una Coppa Italia Dilettanti (nazionale), annoverando nelle proprie fila un tale Peppe Romeo, che, proprio a livello dilettantistico, era uno dei giocatori più forti d’Italia.
La tensione si respirava palpabile anche prima della partita. Colpa forse di vecchie ruggini, mai sopite, delle quali la tifoseria monrealese si fece presto interprete. Il Ravanusa era forte e non aveva certo bisogno di aiuti arbitrali che, invece, cominciarono ad arrivare uno dopo l’altro. Un calcio di punizione non concesso, un fallo laterale invertito, qualche fuorigioco dubbio fischiato con leggerezza. Quanto basta per far inferocire il pubblico, allora numerosissimo, che infatti si faceva minaccioso e che a un certo punto cominciò a scuotere la debole rete di recinzione che separava il terreno di gioco dagli spalti, minacciando di entrare in campo.

Poi, nel corso della ripresa, successe il fattaccio: contropiede fulmineo del Ravanusa con l’attaccante che parte in posizione perlomeno sospetta, l’arbitro lascia correre ed il Ravanusa segna. A quel punto, il malcontento che fin a quel momento si era manifestato solo verbalmente (le mamme e le mogli della terna arbitrali, erano gettonatissime nelle imprecazioni del pubblico), degenerò d’improvviso. In campo cominciarono a volare i primi ombrelli, accompagnati dai ghiaccioli che il signor “Ghiacciuminta”, come veniva comunemente chiamato l'abituale ambulante, vendeva con la sua inseparabile valigia frigo.
Placatisi gli animi a fatica, la partita ricominciò con il Monreale che mestamente mise la palla al centro, dopo il gol subìto. Giusto il tempo di organizzare un’azione offensiva e arrivò il gol del pareggio. Fu un’esplosione di gioia, ma l’arbitro, inspiegabilmente, annullò la rete, ravvisando non si capì bene quale irregolarità. Apriti cielo!
Scoppiò una vera e propria sommossa popolare, con il pubblico che cominciò a lanciare di tutto, soprattutto pietre che avrebbero potuto mandare qualcuno all’altro mondo. A quel tempo il presidente del Monreale era mio zio, Marco Ganci e per questo motivo (ero ancora un bambino) ebbi la possibilità di assistere alla partita dalla zona spogliatoi, separata dagli spalti, come sanno i frequentatori del campo Conca d’Oro, solo da un muro, peraltro nemmeno troppo alto. L’arbitro e i guardalinee se le diedero a gambe alla svelta, rifugiandosi negli spogliatoi, senza pensarci un attimo. Ricordo ancora, avendoli visti da pochi metri, il terrore ed il tremore della mano del direttore di gara nel tentativo di aprire la porta del suo spogliatoio con la chiave, mentre i guardalinee, riparavano la loro e la sua testa dalla fitta sassaiola che si scatenò, come una vera e propria tempesta. Ma a rischio c’era l’incolumità di tutte le persone che sostavano in quell’area, compresa la mia, perché le pietre non avevano occhi e piovevano, anzi grandinavano una dopo l’altra.

Ricordo di essere stato letteralmente preso per un braccio dal maresciallo dei carabinieri Angelo Amico, comandante della Stazione di Monreale ed infilato di peso in una volante che presidiava il campo. Alcune pietre colpirono pure la vettura, tanto che l’autista, alla velocità della luce, con una rapida manovra, entrò in campo con essa, parcheggiandola accanto alle panchine, dove la tempesta di pietre non poteva arrivare. Si andò avanti per una ventina di minuti con questo clima, arrivarono altre pattuglie di carabinieri. Poi, fortunatamente, forse per la presenza dei militari, gli animi si calmarono e tutto ritornò alla quiete di prima.
Qualcuno mi consigliò: “Un ci cuntari nenti a to patri, vasinnò un ti ci fa veniri cchiù o campo”. Consiglio inutile, perché mio padre, socio storico del circolo Italia, non appena arrivato in piazza, venne immediatamente a conoscenza dell’accaduto, che frattanto era diventato la notizia del giorno e, volando di bocca in bocca, aveva fatto il giro di tutto il paese.
Il martedì successivo il giudice sportivo usò la mano pesante: vittoria a tavolino al Ravanusa e campo squalificato per tutto l’anno al Monreale che dovette giocare lontano dal Conca d’Oro per il resto della sua stagione.
Quelli, però, erano altri tempi e da allora, a mia memoria, e per fortuna, episodi come quello non si sono verificati più. Fatti come quelli di ieri sera, però, pur senza raggiungere questi parossismi, ci hanno riportato con la memoria a quel calcio di periferia, dove spesso con le furberie e con il non rispetto delle regole, si spera di indirizzare la partita dalla propria parte, ma soprattutto ci ricordano che, calcisticamente, a volte il Medio Evo non è poi così lontano.

(la foto risale al 1971 quando a Monreale venne a sostenere un allenamento l'Inter campione d'Italia)