''Paroli scurdati, paroli attruvati'', un bell'incontro ieri al complesso Guglielmo

L'iniziativa è stata organizzata dalla Pro Loco Monreale

MONREALE, 18 gennaio – Grande successo ieri a Monreale per la Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali organizzata dalla Pro Loco.

La seconda edizione della manifestazione “Paroli scurdati, paroli attruvati” ha avuto quest’anno come tema un’affermazione che è già una dichiarazione poetica, “I paroli chiamanu ricordi”.A partire da una parola bisognava raccontare un ricordo in poesia o in prosa e in risposta sono arrivati numerosi racconti e poesie.

Come ha detto nel suo intervento introduttivo la presidente della Pro Loco Amelia Crisantino, la lingua locale è un forte collante che raccoglie la comunità, e da tempo ormai la Pro Loco coinvolge i monrealesi chiamandoli a essere protagonisti delle iniziative che propone sul tema “dialetto e dintorni”.

L’anno scorso bisognava ritrovare le parole perdute, è stato compilato un glossario di parole della nostra lingua locale ormai dimenticate: ogni partecipante ha avuto modo di accorgersi di quanto fosse nel giusto il grande Giuseppe Pitrè quando affermava che la lingua parlata in un paese è il suo monumento più fragile, sempre esposto alle ripetute offese di termini che si affermano nell’uso comune mandando le vecchie parole nel dimenticatoio.

La manifestazione di ieri è stata arricchita da alcuni intermezzi musicali eseguiti al pianoforte da Manuela Quadrante, che ancora una volta si è generosamente lasciata coinvolgere; stavolta la Pro Loco non si è rivolta alle scuole, già impegnate per l’edizione scolastica del concorso “Salva la tua lingua locale”, ma lo stesso sono arrivati i bambini. Tre ragazzine della V primaria della scuola Morvillo – preparate da Antonella Lo Presti in occasione del presepe vivente – hanno intonato due canti tratti dalla novena U viaggiu dulurusu, scritta da un sacerdote monrealese nel XVIII secolo. E Antonella Vinciguerra della scuola Guglielmo II in un paio di giorni ha messo in piedi un vero e proprio rap cantato da bravissimi bambini, è La ballata di Pippinu che racconta di un bambino per caso testimone di un delitto di mafia.

Il pomeriggio ha visto l’alternarsi di numerosi partecipanti che qualche volta hanno fatto sorridere di fronte a parole del tutto desuete come ad esempio “pirunetta” per dire calzini e altre volte hanno quasi commosso gli ascoltatori coinvolti in episodi della fanciullezza, in ricordi legati alla campagna, ai giochi, agli affetti più cari, ai vecchi mestieri. Non si vuole certo fermare la modernità in nome di pirunetta e babbaluci, ma la lingua locale è la lingua degli affetti, delle nostre radici. E arricchisce la nostra interiorità con sfumature nemmeno immaginate da chi conosce solo le lingue ufficiali.