Il bandito Giuliano, la taglia del ministro e la controtaglia-beffa ordita da Turiddu
In sette anni (1943-1950) d’intensa attività criminale, Salvatore Giuliano e la sua banda hanno commesso, con cinismo e ferocia, una serie di raccapriccianti delitti mentre la Sicilia, in cerca di una nuova identità, si dimenava fra devastazioni post-belliche, occupazione anglo-americana, mercato nero, gravi tensioni politiche, riemersione della mafia, violenze, torbide connivenze di potere e tragedie sociali di ogni tipo.
Il famigerato bandito, che non era affatto un redivivo Robin Hood, insieme ai suoi “picciotti”, si è reso responsabile di: 306 omicidi di cui 98 carabinieri e poliziotti; 178 tentati omicidi; 11 stragi; 37 sequestri di persona; 37 estorsioni e rapine; 86 conflitti a fuoco. Per tali fatti sono stati condannati 60 banditi e arrestati o fermati circa 300 favoreggiatori. L’elenco è completato da una miriade di diffide e provvedimenti vari emessi dalle forze dell’ordine. Al cui interno, va ricordato, agivano alcuni chiacchierati elementi, specialisti nel doppiogioco, che trescavano con mafiosi, banditi e politici senza scrupoli.
Nel tentativo di agevolare la cattura dell’imprendibile Turiddu Giuliano, i governi di allora, anche per attenuare le numerose critiche rivolte all’inadeguata strategia repressiva messa in campo, decisero di porre su di lui almeno tre taglie. La prima, risalente al 18 febbraio 1946, era pari a 800 mila lire. La seconda, di 3 milioni di lire, fu pubblicizzata subito dopo la strage di Portella della Ginestra del 1°maggio 1947. L’ultima, più “ufficiosa” che “ufficiale”, ammontava, forse, a 50 milioni di lire e sarebbe stata decisa sul finire del 1949 quando i carabinieri del comando repressione banditismo, il CRFB agli ordini dal colonnello Ugo Luca, agganciarono (auspice la mafia monrealese) il latitante Gaspare, alias “Aspanu”, Pisciotta, numero due della banda, per convincerlo a compiere il “grande passo”: dissociazione e collaborazione per catturare il re di Montelepre. Naturalmente, complice l’imperante omertà, le prime due taglie non produssero alcun risultato. Anzi, come si vedrà più avanti, quella decisa agli albori del ’46, susciterà soltanto la tracotante reazione di Giuliano verso il ministro socialista dell’Interno, Giuseppe Romita, che l’aveva pianificata.
Giuliano commise il suo primo omicidio a 21 anni, il 2 settembre del ’43, quando, a colpi di pistola, eliminerà il giovane carabiniere Antonio Mancino. Quindi, da latitante, formerà la sua banda con lo scopo di seminare terrore e morte. Tra la fine del 1945 e la prima decade del febbraio ‘46, mentre era in carica il primo governo De Gasperi, il raggruppamento di fuorilegge compirà almeno “venti aggressioni gravi! “. Furono assaltate le caserme dei CC di Grisì, Pioppo, Borgetto e Montelepre. A Partinico, l’ 8 gennaio ’46, dopo un agguato ad alcune camionette, un carabiniere perse la vita. Nel giorni successivi, in un conflitto a fuoco, un capitano e un fante rimasero gravemente feriti. Il 23 gennaio fu bloccato il treno Trapani-Palermo e circa 100 passeggeri vennero rapinati. Poi una serie di danneggiamenti: al carcere di Monreale, al trasmettitore di radio- Palermo nella borgata Uditore, all’abitato e alla corriera di Camporeale. A Gallitello, gli spaventati minacciati passeggeri di una autolinea consegnarono, senza fiatare, i loro portafogli. Giuliano, pochi giorni dopo, ordinò alcuni drammatici sequestri di persona nei pressi di un noto teatro palermitano. Quest’ultimo episodio “fece traboccare il calice” e il risoluto ministro Romita mise sulla primula rossa di Montelepre la taglia di ottocento mila lire (vedi foto manifesto della regia prefettura di Palermo) e di cinquecento mila lire sul bandito Rosario Avila che operava nel nisseno. A Turiddu la taglia dispiacque molto, sia per la propaganda adoperata, che per l’esiguità della somma offerta dal governo al fine di “stanarlo”. O meglio, per avere da chiunque, “…esatte notizie che portino alla cattura del bandito…”, sia pure garantendo il più assoluto segreto sui nomi degli informatori. Conscio della notorietà acquisita, Giuliano, spocchiosamente, ritenne del tutto ridicolo l’ammontare del “premio” menzionato nell’ “importante avviso” diramato dal prefetto di Palermo Giannitrapani. Dunque, una intollerabile offesa che, secondo il bandito, era da rispedire con urgenza al mittente.
Ecco, allora, con l’aiuto di occulti suggeritori, dare sfogo alla sua perversa fantasia che lo porterà a confezionare contro Romita una “umiliante” pubblica risposta dai toni minacciosi e canzonatori. Cosa fece in concreto? Lo racconterà, con dovizia di particolari, nelle sue memorie (“Dalla Monarchia alla Repubblica”, 1959, Nistri-Lischi editori) il ministro Giuseppe Romita: “ …il fuorilegge pose una taglia sulla mia testa! Due milioni di lire a chi mi avesse consegnato a lui vivo o morto. Mi recapitarono una copia dei manifesti che erano stati affissi in Sicilia. Ovviamente, non ero preoccupato per me, ma per ciò che quei manifesti significavano in termini di ribellione, di sfrontatezza, di delinquenza. Non mi sfuggiva neppure, però, il lato umoristico della questione. Chiamai - continua Romita- un mio funzionario siciliano….e gli chiesi: vuol guadagnare 2 milioni? Il brav’uomo mi guardò sconcertato. … Mi risponda, li vuole o non li vuole? Quegli deglutì. Sì, disse con una voce che non pareva la sua. Ebbene – esclamai mostrandogli il manifesto – ecco, mi consegni a Giuliano - e porgevo i polsi a croce, come per farmeli legare. Seppi poi - conclude Romita - che quel funzionario si era offeso. Era appunto quanto volevo dimostrare a me stesso: il manifesto di Giuliano non poteva che suonare offensivo per i bravi, onesti, laboriosi siciliani”. La fantasiosa “controtaglia”, architettata dal bandito, ebbe scarsi effetti sull’opinione pubblica a parte l’ilarità. L’episodio, nondimeno, confermò la generale sensazione sulla intoccabilità di Giuliano e sulle debolezze governative. Ci vorranno ancora quattro lunghi anni, prima di arrivare al farsesco e tragico epilogo di Castelvetrano. Intanto si moltiplicheranno vaniloqui, intrighi politici, illecite trattative e clamorosi fatti di sangue. Anche altri “premi”, più cospicui e meno burleschi, verranno offerti con generosità. Qualcuno incasserà e l’omertà comincerà a scricchiolare. Il ministro dell’interno Mario Scelba, a differenza del suo predecessore Romita, non subirà l’umiliazione di controtaglie, ma solo allusive minacce e copiose lettere anonime.
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